I menhir sono delle alte colonne in pietra, da sempre ritenute simboli di prosperità e di virilità.

Le teorie più accreditate però parlano di osservatori astronomici, aste delle meridiane necessarie per registrare movimenti, tempi e fasi astrali per verificare cicli propizi per le varie iniziative degli uomini.

I Menhir del Salento: portafortuna dell’antichità

I Menhir (nome celtico che vuol dire “pietra fitta e lunga”) sin dai tempi preistorici sono stati usati per scongiurare, nella tradizione popolare, epidemie, calamità naturali o semplicemente per scaramanzia. Nel Salento, terra dalle mille culture, frutto di altrettante dominazioni nel corso dei secoli, questi simboli sorgono anche in aperta campagna.

Chi percorre una strada provinciale salentina o ancor più chi si imbatte in una stradina di campagna, può avere la “fortuna” di notare all’ingresso di un terreno, due colonne, la cui sommità termina con una decorazione in pietra a forma di cilindro, cono o piramide. Sembra un ornamento, ma nell’antichità rappresentava proprio una sorta di esorcismo, contro le avversità e i malocchi, anche dei vicini.
Nell’epoca in cui la campagna era l’unica e principale fonte di sostentamento per le popolazioni salentine, come per gran parte del sud Italia, non poteva avvenire diversamente. E allora, proprio come facevano gli antichi pagani, si ricorreva a gesti scaramantici, a costruzioni in muratura che ritraevano personaggi o animali (si pensi al gufo) che dovevano in qualche modo difendere o offendere qualcuno; oppure si erigevano colonne.

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L’elemento che dava senso alla loro costruzione era proprio la parte terminale della colonna. Secondo alcuni studiosi questo alto blocco di pietra veniva eretto dai pagani per onorare il dio Priapo; il cui nome deriva proprio da “Prihapos”, che vuol dire “ colui che ha davanti un hapos”, cioè una protuberanza. Questa divinità della mitologia greca aveva tre “doti” fondamentali: proteggeva i campi, sconfiggeva il malocchio e, soprattutto, era il difensore della virilità, del vigore maschile.

Il suo simbolo era proprio l’organo sessuale maschile. Sin dalla preistoria il sesso maschile, ma anche a volte quello femminile, è stato visto come l’unico antidoto alle negatività, alle avversità del destino, basti pensare che i moderni corni rossi o il ferro di cavallo altro non sono che la rappresentazione pudica degli organi sessuali maschili e femminili.

Oggi nessuno ricorda più il senso di quella edificazione, alla rimozione della sua storia, del suo significato e della sua ragion d’essere ha concorso nei secoli anche la Chiesa che, come in altre circostanze, ha voluto e saputo affiancare e poi sostituire a queste credenze pagane la sua verità, “convertendoli” in oggetti religiosi che guidano il passante nel suo cammino. Ecco perché molto spesso, proprio accanto a questi simboli, si trovano immagini sacre che a volte sono persino incastonate in essi.

Questi Menhir sono visibili in molte località del Salento, e anche in Sardegna.

In provincia di Lecce degno di nota è sicuramente quello di Martano, che si trova ormai in pieno centro abitato, ma che una volta era in aperta campagna, e quelli di Scorrano, Zollino, Giurdignano, che sono tra i più imponenti e ben conservati.

Dolmen Placa a Melendugno
Dolmen Placa a Melendugno – di Reame, CC BY 2.5

Dolmen

Per i dolmen, che forse furono realizzati in epoca successiva, si ritiene invece che avessero due possibili funzioni: o di uso funerario o di altare sacrificale.

Nella piccola Giurdignano, in provincia di Lecce, fra muretti a secco e ulivi secolari, potrete calarvi in un viaggio nel tempo carico di fascino preistorico. Il percorso più comune parte dalle scuole comunali, in periferia.

Qui si incontra subito il menhir di San Paolo che si erge sull’omonima cripta, una nicchia che conserva degli affreschi dei santi Pietro e Paolo.

Percorrendo poi la strada asfaltata, dopo una decina di metri si incontrano prima il “menhir di Vicinanze T e dopo poco il “menhir di Vicinanze II”, nelle cui vicinanze – appunto – si trow anche una cripta bizantina. Attraversando gli uliveti sulla strada Giurdignano-Giuggianiello si arriva al dolmen Stabile, uno dei meglio conservati della zona e risalente all’inizio del secondo millennio avanti Cristo.

Fra tante piccole tracce a epoca ancestrale (oltre 25 megaliti) si giunge, infine, in direzione di Minervino al “Masso della Vecchia”, un dolmen la cui leggenda lega il nome ad una stega che avrebbe utilizzato quel disco di copertura come l’arcolaio del fuso per i suoi incantesimi.

Questo è quanto si può osservare a Giurdignano, ma nel Salento dolmen e menhir sono diffusi un po’ ovunque, soprattutto nell’entroterra. Segno inequivocabile di protezione e di propiziazione di buoni raccolti in tempi in cui l’economia si reggeva esclusivamente sull’agricoltura.

Oggi tali monumenti (perché tali sono) spesso sono trascurati e abbandonati, a volte anche irriconoscibili per via degli atti di vandalismo. L’auspicio è che le amministrazioni pubbliche si occupino anche di loro, pur se le priorità dei cittadini oggi son ben altre.

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Foto in evidenza: Menhir Croce di Bagnolo di Cursi – Di Lupiae – Opera propria, CC BY-SA 3.0

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