I Padri Predicatori domenicani, pur avendo una grande diffusione nel Nord del nostro Paese (basti pensare a Bologna, che ospita le spoglie di San Domenico, padre fondatore), hanno portato il loro significativo contributo religioso e culturale anche nel Sud e nel Salento in particolare. La presenza dei P.P. Domenicani in terra salentina risale all’inizio del 1500, allorché, grazie ai buoni uffici del governo spagnolo presso le autorità locali, raggiunsero Gallipoli invitati a fondare una loro comunità sulle estreme mura di ponente. A reggere la diocesi gallipolitana (l’isola abitata ed il contado) era il cardinale Francesco Romelino, morto l’anno successivo.

Erano trascorsi quattro anni dopo l’ultimo ufficio liturgico in lingua greca celebrato in cattedrale, da quando, chiusa la lunga parentesi bizantina, si avviava anche qui il rito latino, già in uso a Nardò  e  consolidato  dai  Normanni  con feudatari e vassalli locali.
I Domenicani sostituirono l’ultimo abate di S. Mauro, appartenente ai monaci orientali di rito greco seguaci di S. Basilio.

La scienza teologica con lo studio e la disciplina caratterizzava, e caratterizza ancor oggi, l’Ordine domenicano.
Il primo compito affrontato dai frati nella città di Gallipoli fu l’edificazione del convento entro l’isolato urbano, poi detto di S. Domenico, che, racchiuso tra via Rosario, via Ferrai e Riviera Nazario Sauro, si affaccia adiacente all’estremità delle mura tra il bastione di S. Domenico e l’ampio piazzale del baluardo (allora di S. Basilio, poi Fortino del Quartararo o degli Angeli o del Cerare), a pochi metri quindi dal bastione di S. Francesco d’Assisi. Attiguo al convento dovettero erigere una chiesa più consona ai tempi nuovi, non tuttavia nelle attuali dimensioni (del 1696-1700), ma comunque più confacente al costume e al rito dei Domenicani.

Nel vasto edificio di via Rosario si apriva il portone d’accesso al primo piano per gli studi medi e superiori riservati a studenti interni ed esterni, conservando in pietra lo stemma dell’Ordine (cane con fiaccola tra i simboli della Corona di Spagna). I locali erano disposti, insieme con rettorato, priorato e refettorio, su due lunghi corridoi perpendicolari con volte a cuffia, affacciati a sud-est sul chiostro a peristilio sorto su uno zoccolo di carparo, il cui scavo servì a reperire il materiale necessario a edificare prima il convento e poi, con tufi di Daliano, l’ampliamento dell’annessa chiesa.

Al chiostro, il cui ingresso principale si apriva dall’arco situato sulla riviera a destra del portale della chiesa, come al piano superiore si accedeva anche da via Ferrai attraverso un cortile fornito di un piccolo giardino. Il chiostro aveva al centro un pozzo ornamentale ed era attiguo alla sacrestia, che al momento della confisca incorporò il lato nord del colonnato di stile dorico. Confinava a sud-est anche con gli studi e il dormitorio del convento, sicché tutti gli ambienti erano comunicanti tra loro dall’interno.

L’estremo angolo orientale dell’isola domenicana tra via Ferrai e la riviera era riservato alle celle per i frati, con ingresso dalla stessa riviera. Da rilievi geologici sarebbe pure possibile accertare e verificare l’esistenza di grotte o cripte di età bizantina insieme con camminamenti ipogei collegati col bastione antistante fino alla scogliera.
Dell’ex convento domenicano in Gallipoli ben poco  si conosce. Non si possiedono notizie neppure sufficienti sull’ampliamento e l’arricchimento del convento.

Soltanto è certo che, nel sostituire i monaci Basiliani nell’antico monastero bizantino, toccò ovviamente proprio ai Domenicani il compito di doverlo ripristinare ex-novo con il necessario concorso di fedeli e devoti o grazie al contributo delle famiglie più abbienti.
È tuttavia possibile fissare una data certa: quasi tutti i conventi domenicani del Salento risalgono al sec. XVI. Solo nel 1530 il Capitolo generale di Roma deliberò di riunificare i conventi pugliesi in una Provincia indipendente denominata di S. Tommaso (degno dottore dell’Ordine e della Chiesa universale).

Nel Salento i Domenicani fondarono conventi in venti Comuni. Il convento di Gallipoli ereditò tutti i beni basiliani: le proprietà connesse con le abbazie di S. Mauro e S. Salvatore e quant’altro i monaci orientali avevano accumulato nel territorio o di fondi o di rendite o interessi, dislocati lungo la via basiliana dei monaci che passa appunto dalla masseria “Li Monaci”, di cui tuttora v’è traccia nella toponomastica locale (nella direttrice Gallipoli-Alezio-Taviano).

Oggi la chiesa della Madonna del Rosario è ciò che rimane attivo di tutto il complesso domenicano. I locali dell’antico convento e il chiostro sono aperti solo in estate, per qualche evento musicale che si realizza all’interno. Il resto della struttra è pressochè inutilizzato. Un vero “peccato” per l’arte e la cultura salentina.

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