L’Umbria, regione del centro Italia, nasconde varie e bellissime leggende.

La leggenda del Principe Trasimeno

La più interessante è sicuramente la “leggenda del principe Trasimeno”. Il lago Trasimeno prese il nome dal figlio del re etrusco Tirreno che sbarcò, più di 3000 anni fa, in Italia, con il suo popolo proveniente dalla lontana Lidia. A quei tempi regnava sul lago la bella ninfa Egille. Essa abitava sull’Isola Polvese, in un magnifico palazzo dalle bianche colonne di marmo.

Trasimeno, il giovane figlio di Tirreno, avventurandosi un giorno nella caccia, uscì all’improvviso dalle selve sulle sponde del lago. Il suo sguardo fu attratto dall’isola che non era molto distante dalla riva. “Che splendido edificio” esclamò il principe osservando il palazzo della ninfa “solo un re può abitarvi. Chi sarà mai?”. La risposta arrivò subito: udì un canto dolcissimo proveniente dall’isola. Infatti si potevano vedere alcune donne su una loggia aperta del palazzo.

Una di esse era seduta e si pettinava, aiutata da altre che le stavano attorno. Era lei che cantava. Trasimeno entrò in acqua e nuotò verso l’isola. Raggiunse così un folto canneto vicino al palazzo, e da lì poté vedere, di nascosto, la misteriosa donna che era molto bella. “Davvero sei solo un povero pescatore a cui si è travolta l’acqua?” chiedeva poco dopo la ninfa Egille a Trasimeno, che le aveva raccontato una strana storia per giustificare il perché fosse sull’isola.

Sorrideva con malizia, Egille, perché aveva capito che non era un pescatore. Alla fine Trasimeno confessò la verità e disse “Mia bella regina, perdonatemi, non sono un pescatore, è vero! Sono Trasimeno, figlio del re Tirreno di cui certo avrete sentito parlare. Ma è colpa vostra se ora sono qui”. “Colpa mia?” chiese scherzosa Egille. “Colpa della vostra incantevole voce. È la vostra voce che mi ha attratto fin qua. Volevo conoscervi. Ed ora che vi ho conosciuto vi chiedo in sposa”.

Si sposarono e dopo le nozze, celebrate con una grandiosa festa sulle acque attorno all’isola, i due giorni vissero solo pochi giorni felici. Una mattina, mentre si bagnava nelle acque un po’ agitate del lago, Trasimeno fu travolto da un’improvvisa onda e scomparve. Invano Egille lo chiamò e cercò. Trasimeno non rispose mai più.

Sembrava dissolto nel lago, come se questo volesse impadronirsi sia del suo corpo che del suo nome. Egille pianse a lungo la morte del suo giovane sposo. E lo piange ancora oggi, dicono: lo piange con le lacrime che scendono dalle nuvole sul lago nelle tristi giornate di pioggia.

Ma, questa è solo una delle tantissime leggende che animano la tradizione popolare umbra, decisamente ricca e gelosamente custodita, nonché tramandata di generazione in generazione. L’Umbria è un territorio che ha tutto: lago, pianure e bellissimi monti. Proprio sui monti, sono ambientate due delle leggende che vi proponiamo.

Leggende umbre dei boschi

Con precisione, ci troviamo sui Monti Sibillini, dove è ambientata la leggenda della Sibilla. Terre misteriose, dominate da fitti boschi e dove regna un silenzio surreale: proprio qui, sono ambientate le vicende della Sibilla, da sempre al centro dell’attenzione degli appassionati di miti e leggende.

Si dice che, sulle pareti dei Monti Sibillini è ubicata la grotta che fu della Sibilla, nascosta dalla flora più selvaggia. In passato, i più coraggiosi, che desideravano conoscere il proprio futuro, si incamminavano per ripidi e tortuosi sentieri, proprio per giungere al cospetto di questa maga, la quale è stata sempre avvolta da un velo di mistero.

Infatti, in molti la vedono semplicemente come una fata, ovvero una semplice maga capace di predire il futuro; secondo una concezione demoniaca, invece, viene etichettata come la rivale della Vergine Maria e per questo rinchiusa in una grotta isolata e difficile da raggiungere.

La tradizione popolare, tra le tante varianti dal sapore fantastico,  si è focalizzata sul pensiero che la Sibilla rappresentasse un misterioso oracolo, al quale chiedere del proprio destino, ovviamente, dietro il pagamento di un pegno.

Ma, chi è la Sibilla che dimora nei boschi umbri?

Su questo quesito la tradizione popolare di scinde in due filoni mitologici: da un lato vi sono coloro che identificano la Sibilla come una donna che si era impoverita dopo aver messo in pratica delle errate scelte nel commercio e che proprio sui Monti Sibillini aveva deciso di rifugiarsi, lontana da tutto e tutti; all’opposto vi sono coloro che definiscono la Sibilla come una dea legata al mondo dell’eros.

Fatto sta che oggi, questa leggenda continua ad essere tramandata, vuoi per spaventare e mettere in guardia i bambini, ovvero per mantenere semplicemente viva la meravigliosa tradizione popolare, ma dell’originaria grotta della Sibilla non resta che un cumulo di pietre. La Sibilla sarà ancora lì dentro?

Spostiamoci nei pressi di Assisi, sui monti che circondano questa meravigliosa città, meta di un turismo sempre più forte, attratto dalle meraviglie naturali del luogo, dalle bellezze architettoniche e dalla fede.

Si narra che tanti anni fa ci fosse un grande monastero ubicato sulle colline umbre, proprio alle spalle di Assisi, dove la gente del luogo, molto devota, vi si recava con costanza. Insomma, tutto nella norma, se non fosse per il fatto che i monaci proprio non gradivano quelle grandi manifestazioni di fede.

Anzi, etichettavano i fedeli quasi come dei folli e partecipavano malvolentieri ai riti religiosi. Insomma, non si poteva parlare di fede per questi monaci, i quali vivevano in maniera assolutamente spregiudicata, ben lontani dalle ferree regole della Chiesa.

Un monastero dove i peccati non si contavano e tra tutti vi erano quelli della carne a dominare la lunga lista. Di questo monastero oggi restano solo delle rovine: un’epidemia, definita come un vero e proprio intervento divino, portò alla morte tutti i monaci e anche il convento venne distrutto.

Dopo qualche mese, dalle basse campagne si vedevano delle strane figure che camminavano lungo i sentieri collinari con delle fiaccole accese, intonando dei canti, seguiti da preghiere. Gli abitanti di Assisi e delle zone vicine subito capirono: quelle strane ombre erano gli spiriti dei monaci, costretti a compiere per l’eternità proprio quei riti che tanto odiavano.

Si dice che ancora oggi sia possibile vedere sulle colline queste strane processioni di figure incappucciate con le fiaccole in mano.

Leggende umbre: la leggenda del drago di Terni

Scendiamo giù dai monti e rechiamoci nella bella ed operosa Terni, per conoscere la bellissima leggenda del Drago di Terni.

Vi siete mai chiesti perché sullo stemma della città vi è raffigurato un drago? Tutto ebbe inizio tanti, ma tanti anni fa, quando un terribile drago si aggirava proprio nel territorio dove oggi si erge la città di Terni.

Un drago che aveva come suo unico scopo nella vita quello di terrorizzare gli abitanti del luogo, lasciando attorno a sé solo morte e distruzione. L’intero territorio era ormai isolato, poiché nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi agli antichi villaggi, proprio per timore di essere assaliti dal temibile quanto orribile drago.

La gente del posto era disperata e non poteva più vivere nel terrore, così il Consiglio di Anziani si riunì per cercare di trovare la giusta soluzione per porre fine a questo mal vivere. I più forti e coraggiosi ragazzi vennero convocati al Palazzo del Comune e fu chiesto loro di battersi per cercare di uccidere il drago, ma tutti, si rifiutarono di affrontare la troppo rischiosa impresa.

Davvero tutti gli uomini più forti della città furono convocati, ma tra essi nessuno si mostrò propenso a mettere in pratica la volontà dei saggi anziani. Tutto sembrava destinato a restare così: il drago poco fuori le mura della cittadina; i ternani dentro le loro case, terrorizzati e isolati dal resto del mondo.

Ma, una mattina si presentò al Palazzo del Comune un giovane ternano della nobile famiglia dei Cittadini. La sua luccicante armatura accecava gli anziani del consiglio e lo stesso disse con voce ferma e fiera: “Signori, con il vostro permesso, ci vado io a far visita al drago?”. Auguri e benedizioni e il giovane era pronto all’impresa.

Il giovane coraggioso si diresse nei pressi di un boschetto dove il drago era nascosto e, una volta trovato, senza pensarci due volte e con l’esperienza di un veterano di guerra, toccò per ben tre volte il drago con la sua lancia. Ma, le ferite sembravano prodotte da uno spillo.

Il giovane sembrava spacciato, ma bastò un istante per capovolgere la pericolosa situazione: il sole brillava alto e la luccicante armatura del ternano accecò il drago e proprio in quel momento con una mossa fulminea il coraggioso ragazzo riuscì a trafiggere il drago da parte a parte. Risultato? Il mostro stramazzò al suolo senza vita. Il giovane, quindi, tornò vittorioso in città dove ad attenderlo, increduli e felici, vi erano i suoi concittadini, in quella che fu la festa più lunga della storia di Terni.

Lasciamo i ternani ai festeggiamenti e cerchiamo di analizzare le origini di questa leggenda. Probabilmente il tutto è stato abilmente costruito come specchio della situazione ternana (dell’intero territorio) del passato. Infatti, il luogo su cui sorge la città era paludoso e la malaria di diffondeva con estrema facilità (il drago). Solo con la bonifica (l’azione temeraria del giovane cavaliere ternano) riuscì a trasformare la palude in terra fertile.

 

 

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