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Archimede: “Eureka! Eureka!”
I Siracusani videro un giorno, con loro grande stupore, il loro grande concittadino Archimede correre all’impazzata per le vie. Correva e gridava: “Eureka! Eureka!” che in Greco significava “Ho trovato! Ho trovato!”. Cosa aveva trovato il celebre scienziato? Era forse impazzito? No, qualcosa aveva trovato, eccome! Poco prima, facendo il bagno si era accorto di stare a galla perché spostava una quantità d’acqua uguale al volume del suo corpo immerso.
Tu allora mi dirai che lo sapevi già, che bella scoperta! Ma prima di lui nessuno si era mai accorto di questo fenomeno. Per questo lui era così felice. Archimede, che fu uno dei più grandi scienziati dell’antichità, visse dal 287 al 212 a.C., nel periodo più tragico della storia di Siracusa.
Proprio negli anni, cioè, in cui i Romani si affacciavano alla conquista della Sicilia, che allora era chiamata “il granaio d’Italia”. Siracusa fu l’unica città dell’isola a cedere. Però, cedette solo dopo un lungo assedio e Archimede, che già aveva 75 anni, fu il sostenitore più accanito di questo assedio.
Ideò molti ordigni da guerra per impedire la caduta della sua amata città. Arrivò persino a costruire degli strani specchi detti “ustori”, i quali raccoglievano i raggi del sole e li proiettavano sulle navi nemiche, incendiandole. La città, infine, fu presa ugualmente ed i Romani si diedero ad un orribile saccheggio.
Il Console Romano Marcello, però, aveva dato ordine ai suoi soldati di rispettare Archimede e di non torcergli nemmeno un capello. Ma successe una cosa strana e inaspettata. Uno di quei soldati capitò per caso in una casa dove abitava una strana persona.
Questa persona era anziana e sorda, quindi non sentiva i rumori delle bombe e della guerra in generale. Così se ne stava immerso nei suoi studi, fra complicate macchine. “Ehi tu” disse il soldato “sei per caso Archimede?”.
Ma il vecchio era troppo assorto per rispondergli, nemmeno si girò. E così il soldato lo uccise senza sapere che si trattava proprio del grande Archimede. Disubbidì così agli ordini del Console, che teneva ad Archimede. Grande, infatti, fu il dolore del Console Marcello che innalzò un monumento in onore del sommo scienziato Archimede.
L’enigma del teatro del siciliano Luigi Pirandello
Come non menzionare tra i personaggi famosi e illustri della bella Sicilia, il grande Luigi Pirandello. Nato ad Agrigento nel 1867, allora conosciuta con il nome di Girgenti, è uno dei più grandi drammaturghi del XX secolo. Un vero e proprio uomo di cultura, tra le cui opere, destinate all’immortalità, si annoverano novelle, romanzi, saggi critici, poesie e, ovviamente, opere teatrali di grande spessore.
Pirandello fa espresso riferimento alle maschere indossate dagli uomini nella loro comune vita, nella quotidianità, ma sembra che lo stesso amasse presentarsi senza celare il suo viso dietro maschera alcuna, mostrandosi nella sua reale e semplice persona di grande letterato e uomo di cultura. È la sua fama a precederlo sempre, proponendo dello stesso un’ampia e dettagliata descrizione.
Un intenso percorso di studio quello portato avanti da Luigi Pirandello, che studiò all’Università di Roma, per poi trasferirsi in Germania (grande appassionato e lettore di Schopenhauer e Nietzsche) dove completò gli stessi. Tra le sue opere principali è d’obbligo menzionare Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno centomila, e la bellissima quanto affascinante opera teatrale Maschere Nude.
È la maschera, forse, l’oggetto che potrebbe meglio descrivere la persona e il modo di pensare di questo grandissimo uomo di cultura siciliano. Secondo Pirandello, infatti, i personaggi non portano quella maschera che, invece, portano gli uomini nella vita d’ogni giorno fingendo di essere quello che in realtà non sono. Una descrizione sempre attuale della società in cui viviamo, dove spesso, purtroppo, i più grandi valori, quelli veri, sono offuscati dal mero ed effimero desiderio dell’apparire.
Sono tantissime le opere del grande Luigi Pirandello e anche analizzarle in modo del tutto fugace, una per una, è impresa tanto difficile. Detto ciò, merita comunque un cenno la grande opera Sei personaggi in cerca d’autore.
Perché? Rappresenta una vera e propria innovazione del teatro, che dal un lato potrebbe essere vista come evoluzione, da un altro come vera e propria rivoluzione. Basta analizzare la trama per capire quanto fino a questo momento detto: il tutto è incentrato sulla rappresentazione di un dramma sul palcoscenico, dove i personaggi, parlando con il capocomico, risultano più veri degli attori.
È questo il fulcro dell’idea innovativa e rivoluzionaria del teatro Pirandelliano, che comporta la caduta della distinzione tra lo spazio reale e quello teatrale. Gli effetti sul pubblico e sul teatro contemporaneo? Incredibili, unici, ancora oggetto di studio e dettagliate analisi, nonché Santo Graal cui ispirarsi.
La stessa vita di Pirandello, forse, azzardando una definizione, potrebbe essere descritta attraverso i personaggi da lui creati: a volte con atteggiamenti comici o addirittura ridicoli, ma che in realtà agiscono in tal modo per mascherare un qualcosa di più grande.
Infatti, ad una più attenta analisi si può comprendere, in modo molto chiaro, che in ogni volto, sorridente e gioioso, si cela sempre una piccolissima smorfia di dolore. Nel 1934 gli fu assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Morì a Roma nel 1936. Le sue ceneri sono sepolte a Porto Empedocle nella villa chiamata il Caos, che gli fu molto cara.
La Sicilia è una regione di indescrivibile bellezza e per chi ha la possibilità e l’intenzione di trascorre le proprie vacanze in questa isola meravigliosa, magari nelle vicinanze di Agrigento, si consiglia una visita alla Casa Museo di Pirandello. La casa natale di Luigi Pirandello si trova in una contrada di campagna, a strapiombo sul mare.
“…Una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’olivi saraceni affacciata agli orli d’ un altipiano di argille azzurre sul mare africano”
“Io dunque son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco, denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti“.
Le stanze del piano superiore con vista sulla campagna circostante ospitano oggetti personali, fotografie, onorificenze, manoscritti e prime edizioni di libri con dediche autografe, locandine delle opere più famose e tanto altro ancora. È possibile letteralmente tuffarsi nella vita di Pirandello, assorbendo la vera essenza del suo pensiero. Il pianterreno ospita, periodicamente, mostre temporanee dedicate al Maestro. Dal 1987 la casa natale costituisce un unico istituto con la Biblioteca Luigi Pirandello che ha sede ad Agrigento.
Nella casa di Giovanni Verga tra i suoi personali volumi
Altro illustre personaggio Siciliano è Giovanni Verga, nato a Catania nel 1840. Romanziere e novelliere, veste i panni del maggior rappresentante del verismo o naturalismo italiano. Il suo genio letterario riesce ad imporsi, con risultati eccellenti, in un clima decisamente influenzato dalla produzione manzoniana e dalle teorie del naturalismo francese.
Ecco perché Verga, così come Capuana, fu considerato il caposcuola del verismo. Opere dal valore inestimabile quelle del Verga, che risultarono di difficile comprensione per i lettori del tempo. Nelle sue opere è possibile respirare, sfogliando lentamente le pagine e analizzandole in modo dettagliato, un’aria siciliana molto forte, vera. I personaggi verghiani sono, infatti, pescatori, contadini e piccoli artigiani, i quali si muovono in un ambiente particolarmente realistico.
È questa l’innovazione: la realtà descritta nelle sue opere è caratterizzata da aspetti che ben rappresentano la Sicilia dell’epoca. Ecco perché è ricorrente l’uso di espressioni dialettali. Opere tradotte in tutte le lingue, fonte di ispirazione anche per il cinema.
Tra le tante meraviglie letterarie del grande Giovanni Verga è da ricordare la produzione che si inserisce tra il 1880 e il 1891: Vita dei campi; I Malavoglia; Il marito di Elena; la novella Pane nero; Novelle rusticane e Per le vie; Drammi intimi; Vagabondaggio; Mastro don Gesualdo; I ricordi del capitano d’Arce.
Grazie ad uno specifico percorso di visita della sua casa natale, è possibile immergersi nel mondo verghiano, ammirando quelli che sono stati i volumi personali del grande scrittore e uomo di cultura siciliano. All’interno della Casa Museo, a Catania, sono più di 2600 i volumi della biblioteca personale di Giovanni Verga, dove è facilissimo perdersi, facendo volare il pensiero tra opere di grandi letterati italiani, francesi e russi.
Durante la visita è possibile anche ammirare lastre e pellicole che ricompongono uno speciale documentario, il quale in modo incredibilmente dettagliato ritrae le figure delle persone care che hanno circondato Verga sin dalla sua infanzia. Il salotto e, ovviamente, la biblioteca sono le stanze più importanti della casa natale di Giovanni Verga, che si trova al secondo piano di un ottocentesco palazzo davvero affascinante.
Un tuffo nella musica di Vincenzo Bellini
Dalla letteratura alla musica: è nato a Catania (1801) il grande compositore Vincenzo Bellini.
Opere liriche di straordinaria bellezza, che riescono a rapire ogni senso, partendo proprio dall’udito, per poi proseguire nell’atto del dolce sequestro degli altri sensi. Ecco come potrebbero essere definite le opere di quest’altro famoso e illustre personaggio della Sicilia.
Bellini studiò al conservatorio di Napoli, grazie all’appoggio dello stesso Comune di Catania, che sulla base del grande talento del giovane, decise di spalancare allo stesso le porte del successo, permettendogli di studiare in uno dei conservatori più importanti dell’epoca. Scelta saggia, dato il successo ottenuto dal compositore siciliano.
È però l’ambiente milanese ad onorare e far crescere in modo esponenziale la fama del compositore: frequentò i più raffinati ed eleganti salotti della città, rendendoli ancor più esclusivi grazie ai suoi capolavori (alcuni esempi: La sonnambula; la Noma). Un vero e proprio trampolino di lancio verso un successo che presto superò agevolmente le alpi per arrivare prima in Francia (a Parigi creò la sua straordinaria opera de I Puritani) e a Londra. Purtroppo Vincenzo Bellini morì molto giovane (a soli 34 anni), ecco perché non c’è una grande produzione di opere che porta la firma dello stesso, ma non per questo il suo nome non è destinato a restare impresso nella storia della musica, regalando alla Sicilia e all’Italia intera un posto di prestigio nel panorama mondiale delle più raffinate note.
I suoi più grandi estimatori lo hanno ribattezzato con il nome de Il Cigno di Catania e oggi riposa in pace proprio nel Duomo della sua città Natale.
La figura del Bellini rappresenta il fulcro di un interessante itinerario, che dal meraviglioso Duomo di Catania porta al Museo Civico Belliniano. Il Duomo di Sant’Agata fu costruito sopra le terme romane di Achille. Fu restaurato dopo i terremoti del 1140 e del 1169, ma purtroppo fu completamente ricostruito dopo il grande terremoto del 1193. Bellissimo nelle sue nuove vesti barocche, è uno degli edifici più belli dell’intera città, che ospita, appunto, la tomba del compositore Vincenzo Bellini.
Così come il meraviglioso ed imponete Duomo, anche il Museo Civico Belliniano ha subito delle modifiche e degli ampliamenti, presentandosi oggi con un nuovo allestimento. Si trova a Catania all’interno del settecentesco Palazzo Gravinia Cruylas in Piazza San Francesco d’Assisi.
La Casa natale venne dichiarata monumento nazionale il 29 novembre 1923 ed inaugurata il 5 maggio 1930. Una casa che si mostra in tutta la sua originale bellezza, senza particolari interventi che hanno modificato il suo aspetto del tempo che fu. Il percorso museale della Casa natale segue l’evolversi della vita e della carriera del compositore, fino a giungere nell’ultima sala, dove son gelosamente custoditi i tanti manoscritti musicali autografi.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due grandi eroi siciliani
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due illustri personaggi siciliani che hanno letteralmente dedicato la loro vita alla lotta contro la mafia. Due grandi persone, due eroi, che hanno scritto la storia della Sicilia e dell’Italia in generale.
Due Palermitani che amavano la loro terra, le loro origini, la legalità e la vita, quella vera, fatti di principi e valori. Proprio quei valori che li hanno contraddistinti e che li hanno portati a combattere a mani nude contro un nemico che, seppur più grande di loro e spietato, non li ha mai intimoriti e non ha mai fatto venir meno la loro voglia di giustizia.
Due siciliani doc, nati e cresciuti a contatto diretto con la realtà di quella regione: era questa la loro forza.
Falcone e Borsellino infatti capivano perfettamente il mondo mafioso, quello incentrato sull’onore siciliano e capivano perfettamente il linguaggio dei grandi boss mafiosi e dei tantissimi malavitosi che facevano da scudo umano ai primi. Entrambi nati a Palermo, Giovanni Falcone nel 1939 e Paolo Borsellino nel 1940.
Due persone umili, che hanno cambiato il loro modo di vivere, condizionato la loro famiglia e i più cari affetti, proprio per inseguire quel sogno di legalità, per alcuni troppi grande, per loro vicino e reale.
Tanti e di enorme spessore i loro successi nella lotta alla mafia, che però purtroppo si interruppero bruscamente. Il 23 maggio del 1992 la macchina su cui viaggiava Giovanni Falcone fu coinvolta in una immensa esplosione sull’autostrada che collega Palermo a Trapani. Furono utilizzati 500 Kg di tritolo: morì a fianco del suo eroe anche la moglie, Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta.
Dopo questo spietato attentato, Paolo Borsellino si espresse con le seguenti parole: “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me!”. Il 19 luglio dello stesso anno un’autobomba esplode sotto casa di sua madre nel preciso istante in cui Paolo Borsellino scende dalla sua macchina per entrare nell’abitazione. Una frase, pronunciata pochi giorni prima della sua morte, può essere utilizzata per descrivere sia la persona del grande Paolo Borsellino, che da Giovanni Falcone si discosta solo per il fisico, ma non per i valori, che il modo di vedere e ragionare di chi nella lotta alla mafia si è letteralmente gettato con anima e cuore. “Non sono né un eroe né un Kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento… Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno”.
La Sicilia, l’Italia, il mondo intero devono tanto a queste due grandi persone, a questi due eroi.
Ecco che gli uffici dove lavoravano fianco a fianco i Borsellino e Falcone si trasformano in un vero e proprio museo della memoria: faldoni, una vecchia macchina per scrivere e trascrizioni. L’anima di questi uffici, luoghi dove si è scritto un capitolo importante della storia italiana, traspare proprio da questi pochi elementi, le armi utilizzate dai due.
Una visita agli uffici del Palazzo di Giustizia di Palermo è d’obbligo: i locali di cui prima si trovano nel piano ammezzato e grazie al contributo di magistrati e personale amministrativo sono stati arredati con gli oggetti dell’epoca. Forse, è d’obbligo recarsi in questi luoghi.