La “veloce” arte di Luca Giordano: i colori di Napoli

Su una parete della Chiesa di Santa Maria la Nova, a Napoli, sono dipinti degli angioletti che hanno una storia curiosa.

Chi doveva dipingerli, nel 1642, era considerato come un pittore piuttosto lento e incerto nel suo mestiere. Tanto è vero che anche quel giorno, non sapendo precisamente come portare a termine quegli angioletti, egli pensò di ricorrere all’aiuto di un altro artista. Uscì quindi dalla Chiesa lasciando sul posto il figlio di dieci anni. Rimasto solo, il fanciullo non ebbe esitazione. Salì sul palco, prese i pennelli e, in men che non si dica, completò gli angioletti.

E gli riuscirono così belli che non solo il padre, ma molti altri furono colti da “stupor grande” alla vista dell’affresco.

Fu forse da allora che Luca Giordano fu chiamato, scherzosamente, con il soprannome di “Luca fa presto”. Quello che è certo, però, è che pochi pittori al mondo seppero creare tanti prodigiosi dipinti con la sua stessa velocità. Sembra che la sua fantasia non avesse freni: immaginare l’opera e crearla era un tutt’uno. Innumerevoli sono gli episodi che dimostrano la rapidità di Luca Giordano.

Ad esempio, un giorno il pittore stava dipingendo nel suo studio un grande quadro dell’Ultima Cena. Era già l’ora del pranzo e i familiari lo chiamarono a tavola. “Mangiate, mangiare pure voi” rispose Luca “vi raggiungo subito. Non mi restano da dipingere che sei apostoli…”.

Un’altra volta il Viceré di Napoli e alcuni padri Gesuiti andarono da Luca per vedere il quadro di San Francesco Saverio, commissionato da tempo al pittore.

La tela del quadro era però ancora tutta bianca. Il Viceré si adirò: “domani è la festa del Santo e il quadro deve essere pronto”.

Per domani, eccellenza, è vero” – rispose calmo Luca- “e per domani sarà pronto”.

Infatti nella notte lui fece il quadro. Il Viceré stupito disse “questo pittore o è un angelo o è il Diavolo”.

Però, non bisogna pensare che l’unico merito di Luca Giordano sia stato quello di dipingere in fretta. La sua pittura è anche ricca, piena di ispirazione e di poesia. Grande ammiratore del Caravaggio, del Tiziano e di altri sommi maestri, rimaneva ore in ammirazione di tutte le loro opere.

Napoletano al cento per cento, Luca Giordano dipinse nelle sue tele i meravigliosi colori della sua città: quel cielo di Napoli che ebbe sempre negli occhi.

Si può addirittura affermare che la sua firma era il cielo di Napoli, dipinto con un azzurro limpido

. Luca Giordano era nato a Napoli nel 1632 e morì nel 1705 a ben 73 anni.

“Venere, Cupido e Marte”, olio su tela di Luca Giordano (foto jean louis mazieresCC BY-NC-SA 2.0)

Sono tantissimi gli affreschi realizzati da Luca Giordano e, prendendo in considerazione i principali, ne vien fuori un vero e proprio itinerario artistico e culturale.

Un bel viaggio nella bellissima arte del pittore napoletano può partire dalla Chiesa di San Gregorio Armeno, della quale ha affrescato la cupola.

Poi, la volta della Chiesa dell’Abbazia di Montecassino, la cupola della Chiesa di Santa Brigida e la navata di San

Gregorio Armeno. Luca Giordano amava il suo lavoro e le sue opere riscuotevano un successo straordinario, tanto che i lavori che venivano commissionati allo stesso aumentavano giorno dopo giorno, questo fino alla sua morte.

Una produzione artistica sempre rinnovata: era questo il punto di forza dell’arte del tanto apprezzato pittore, il quale amava i contrasti forti, come nelle tele della Chiesa di Santa Maria Egiziaca a Forcella e nella Chiesa dei Girolamini. Ma, una delle opere più apprezzate resta Il Trionfo di Giuditta.

Un affresco eseguito tra il 1703 e il 1704 sulla volta della cappella del Tesoro Nuovo della Certosa di San Martino a Napoli. Un vero e proprio capolavoro della più alta forma della pittura barocca italiana.

Totò: conosciamo il principe della risata Antonio De Curtis.

Uno dei personaggi famosi della Campania, conosciuto in tutto il mondo, è Antonio De Curtis, in arte Totò. Inimitabile e dalla simpatia travolgente ha fatto ridere intere generazioni, nonostante le numerose critiche ricevute dagli esperti del grande e del piccolo schermo.

Infatti, la sua grandezza artistica è stata consacrata solo dopo la sua morte: infatti, il grave errore commesso dalla critica, un vero e proprio abbaglio, è stato solo in seguito offuscato dalla messa in evidenza della sua grandezza.

Antonio De Curtis nasce a Napoli nel 1898. Figlio illegittimo del principe De Curtis, fu riconosciuto da quest’ultimo come figlio solo dopo diversi anni dalla sua nascita, nel 1941.

Ogni volta che si parla della Campania, meravigliosa regione del sud Italia e nello specifico di Napoli, uno dei primi nomi che viene in mente è proprio quello di Totò. Le sue gag sono destinate all’immortalità, così come la sua fisionomia con il caratteristico tratto fisico del naso leggermente storto (Antonio De Curtis da giovane era un grande sportivo e praticava boxe).

Ma, sin da giovanissimo capì quale era davvero la sua vera vocazione: recitare. Con piccole compagnie teatrali esordì nei teatri della periferia napoletana, riscuotendo sin da subito un successo a dir poco straordinario. Il pubblico lo amava e Totò era nato per stare al centro dell’attenzione, su di un palco, dove sempre si è sentito a suo agio.

Bombetta in testa, un tight decisamente largo e una mimica facciale molto divertente ed unica: ecco come Totò sarà sempre ricordato.

Raggiunta la maturità artistica, arriva anche il grande sodalizio con un altro big della storia dell’arte napoletana, Peppino de Filippo. Inutile descrivere quanto fatto dai due, basta solo citare “Totò, Peppino e la malafemmina”, “Signori si Nasce” e “Totò, Peppino e la bella vita”.

È questo il periodo della massima consacrazione del grande Antonio De Curtis, il quale cambierà leggermente il suo registro solo nel 1966, a seguito dell’incontro con il grande Pier Paolo Pasolini.

La vena comica del tanto amato personaggio Totò (così la madre chiamava l’artista da bambino) resta, ma è accompagnata da una sottile linea tragica, che riprende gli aspetti della quotidianità. Un mix perfetto, di puro successo.

Più di 100 sono i film girati dal grande artista, che si spense nel 1967 nella sua casa ai Parioli.

Una delle tante targhe che la città ha affisso in onore di Antonio De Curtis ( foto Mike Steele CC BY 2.0).

Come detto in precedenza, Napoli e Totò sembrano quasi essere dei sinonimi: impossibile parlare e descrivere la città senza un riferimento al principe della risata; impossibile parlare di Totò senza la perfetta e magica cornice della sua città natale. Ecco perché, per chi ha la grande possibilità di visitare la bellissima città di Napoli, si consiglia di prendere parte alle numerose visite guidate, che vi accompagneranno nei luoghi che ricordano Totò.

Una bella passeggiata nei quartieri di Totò, soffermandosi nel Rione Sanità, dove Antonio De Curtis sembra ancora vivere, osannato dalla gente del luogo. A piedi, ammirando gli splendidi palazzi signorili e in una atmosfera che riprende le dolci note della vita del principe. Via S. Maria Antesaecula (dove è nato), San Severo e la Salita Cinesi, Largo Vita e Via Sanità, dove diversi sono gli omaggi fatti al grande artista napoletano.

Sono queste le strade di Totò, le quali rappresentano un perfetto itinerario per scoprire una parte di Napoli davvero affascinante.

Qui, tutto gira attorno alla sua figura: caffè, ristoranti, osterie, musei e palazzi, tutti dedicati al principe della risata Antonio De Curtis, illustre personaggio partenopeo.

Tutta la semplicità della una comicità travolgente di Massimo Troisi

Un vero eroe della comicità italiana, quella vera, pura, semplice e straordinariamente coinvolgente. Impossibile non ridere ascoltando le parole del grande Massimo Troisi, una colonna portante del cinema e del teatro italiano, la quale si è sgretolata troppo presto sotto l’azione di una vita troppo breve.

Nasce nel 1953 a San Giorgio a Cremano, a soli quattro chilometri da Napoli, e da giovanissimo si avvicina al teatro, la sua vera e grande passione. “I Saraceni” è il nome della prima compagnia teatrale in cui Troisi ha cominciato a prendere confidenza (in realtà, il palcoscenico è sempre stato un luogo dove si è sentito a suo agio), recitando con grandi artisti del calibro di Lello Arena e Enzo Decaro.

Cominciò così a farsi conoscere e apprezzare sempre da più persone, sbarcando su palcoscenici sempre più importanti dei più prestigiosi teatri, fino ad arrivare a conquistare il piccolo schermo.

La sua arma vincente? La grande semplicità di una comicità che è nata con lui.

Il piccolo schermo si trasformò in grande schermo: “Ricomincio da tre” è il suo primo film da protagonista e regista. Un vero e proprio trionfo. Un successo che continua al fianco di Roberto Benigni nell’esilarante film “Non ci resta che piangere”.

E poi, un film dopo l’altro, un successo sempre maggiore, inarrestabile. Massimo Troisi era un vero e proprio uragano di comicità, che con i suoi modi di fare trasformava in risata anche gli aspetti più semplici, a volte anche crudi, della vita di tutti i giorni.

La realtà napoletana era trasformata dai gesti e dalle parole di questo artista straordinario. Ecco perché era molto amato da tutto il pubblico napoletano e campano in generale, ma anche dalla critica italiana.

Purtroppo morì nel 1994, troppo giovane, a causa di un cuore malato. Si spense esattamente 24 ore dopo il termine delle riprese di un altro film, che si trasformerà in un successo senza limiti: “Il Postino”.

Una bellissima foto che ritrae due grandi artisti: Pino Daniele e Massimo Troisi, durante le fasi di scrittura del brano “Quando” (fonte Wikipedia)

Chi ama il teatro e questo genere di comicità, la quale poggia sui più forti pilastri del massimo rispetto e della semplicità, non può non omaggiare questo grande personaggio campano, magari con una visita a “Casa Troisi”.

Un luogo di cultura, di arte e di ricordo. La casa museo dedicata al grande Troisi è stata inaugurata solo pochi anni fa, ma ha già profondamente trasformato il piccolo Comune di San Giorgio a Cremano, diventato ormai una piccola realtà urbana, centro della cultura dell’arte e del cinema italiano. Cimeli, locandine originali, foto personali e scattate con altri grandi artisti e tantissimo altro: ripercorrere la vita di Massimo Troisi è una grande emozione.

E poi, c’è lei, la bicicletta utilizzata nel film il Postino. Inoltre, in questo piccolo museo, che si presenta come un luogo dal grande fascino, sono organizzate mostre ed iniziative di vario genere, con particolare attenzione ai giovani artisti in cerca di una importante vetrina.

La rivolta di Tommaso Aniello: la Napoli di Masaniello

Tommaso Aniello, conosciuto come Masaniello (1620-1647), è uno dei personaggi più famosi della Campania, che ha davvero scritto alcune tra le pagine più importanti della storia di Napoli.

Non un grande artista, come i due illustri personaggi prima citati, ma un vero e proprio diavolo buono, che si è battuto per nobili cause.

Ci troviamo in un periodo non proprio tranquillo della storia della bellissima città: artigiani, mercanti, contadini e anche borghesi erano esasperati dalla pressione del fisco spagnolo e dal controllo dei baroni su tutta la società.

La scintilla che appiccò il grande incendio fu l’imposizione di un’ennesima tassa sulla vendita di frutta e verdura. Fu così, che il 7 luglio 1647, la rivolta napoletana scoppiò. La furia del popolo era guidata da un giovanissimo pescivendolo, Tommaso Aniello, detto Masaniello, che scagliò i rivoltosi contro i palazzi baronali, del fisco e il palazzo del Viceré.

Masaniello venne nominato capitano generale del popolo, portavoce e simbolo del ceto più povero della società, quello maggiormente danneggiato dall’agire spagnolo.

Qualche giorno dopo lo scoppio della terribile rivolta Masaniello fu ucciso.

Una vera e propria congiura: tradito da chi aveva timore di potenziali ripercussioni degli spagnoli e dai baroni. Ma, la sua morte non spense la fiamma della giustizia accesa nel cuore del popolo.

Però, la nuova Repubblica cadde ben presto: il governo spagnolo e i baroni organizzarono una repressione a Napoli e nelle zone limitrofe, spazzando via la Repubblica.

La rivolta di Napoli (foto CC BY 2.0)

Il ricordo di Masaniello, di questo semplice pescivendolo napoletano, ancora vive nei ricordi della gente della città partenopea. Un vero e proprio eroe del popolo, che proprio non voleva piegarsi all’assurdo agire dell’invasore spagnolo e che desiderava solo la libertà della sua tanto amata città.

Alla Certosa e Museo di San Martino è possibile ammirare alcuni dipinti che ritraggono questo eroe della storia napoletana. Tra le tante opere di gran valore storico e artistico, una su tutte colpisce l’attenzione di chi decide di lanciarsi letteralmente nel periodo dei tumulti napoletani: il ritratto di Masaniello attribuito ad Onofrio Palumbo.

Un’opera gelosamente custodita nella bellissima certosa dedicata a San Martino, fondata nel 1325 da Carlo, duca di Calabria e figlio di Roberto D’Angiò. Un luogo dal suggestivo fascino e dall’eleganza di altri tempi.

Sono tantissimi gli interventi che sono stati portati avanti per rendere unica questa già meravigliosa struttura, che comunque ha conservato tutto l’originale fascino. Mantengono l’antico aspetto i suggestivi sotterranei, che oggi ospitano la sezione del Museo dedicata alla scultura.

La Certosa di San Martino è un posto da cui poter godere, inoltre, di vedute incantevoli: il golfo di Napoli si apre dinanzi ai propri occhi, in tutto il suo magico splendore. Per conoscere al meglio la storia di Napoli, questo è uno dei posti principali da cui partire.

Il mondo secondo Giambattista Vico

Rientra nella lista dei personaggi famosi della Campania un altro napoletano: Giambattista Vico, uomo dalla brillante mente e dalle grandi idee. Nato a Napoli nel 1668, ha portato avanti precise teorie che hanno rivoluzionato il modo di concepire il mondo e la storia.

Malinconico e chiuso in sé stesso, fin da giovanissimo Giambattista Vico preferì nascondersi nel mondo della cultura, immerso tra i libri della bottega del padre.

La sua più celebre opera è la Scienza Nuova, fulcro del suo pensiero. Secondo Vico all’uomo appartiene una particolare attività creativa, poiché anche se non è stato l’uomo stesso a creare la realtà naturale, la matematica, la metafisica e le altre “astrazioni” sono frutto comunque della mente umana.

Come detto in precedenza Giambattista Vico ha modificato il modo di concepire la storia, vista come “la scienza delle cose fatte dall’uomo e che ha per oggetto una realtà creata dagli stessi individui”.

E ancora, “la concreta realtà dell’uomo è comprensibile solo riportandola al suo divenire storico”.

Questi i punti principali del profondo pensiero di Vico, troppo avanti per la società e il modo di pensare della sua epoca. Fu nominato nel 1732 da Carlo di Borbone come Storiografo Regio. Morì nel 1744.

È difficile affrontare ed analizzare il pensiero nato da una mente tanto brillante come quella di Giambattista Vico.

Ma, un modo per immergersi nel suo straordinario mondo esiste: il Museo Vichiano, all’interno del Castello De Vargas, che ospita anche la Biblioteca del Parco Nazionale del Cilento e Vallo del Diano, che raccoglie oltre 12.000 volumi. Il castello risale al X secolo, poi ampliato nel XVI secolo.

Si respira un’atmosfera davvero suggestiva: il pensiero di Vico vola leggero tra le diverse sale. Un percorso turistico e culturale, immersi nel grande vortice del sapere.

 

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