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La malinconica poesia di Giacomo Leopardi
Tra i personaggi famosi delle Marche, regione del centro Italia, è d’obbligo menzionare il grande poeta Giacomo Leopardi.
Uno dei più grandi scrittori, Pietro Giordani, ricevette un giorno una lettera da uno sconosciuto. Egli rimase colpito dall’immensa erudizione dimostrata dall’autore di quella lettera e immaginò che si trattasse di un sapientone. Rimase di stucco quando scoprì che invece si trattava di un ragazzo di sedici anni. Quel ragazzo era Giacomo Leopardi e scriveva dal palazzo in cui abitava con la famiglia.
Quel palazzo sorgeva a Recanati, ridente cittadina posta in una splendida posizione nelle Marche. Era una lettera triste, dalla quale emergeva il fatto che Leopardi non era un ragazzo come tutti gli altri. Non pensava né ai giochi né agli svaghi. Anni e anni di studio intenso, che portarono Leopardi a conoscere sin da giovane il greco, il latino, l’inglese, il francese e l’ebraico. Tanto studio, però, aveva danneggiato la sua salute, causandogli un’infermità che sempre lo accompagnò per il resto della sua vita.
L’affetto e l’orgoglio del padre, lo scrittore Monaldo Leopardi, non bastarono a sollevarlo. Si può facilmente capire il perché di quella lettera con cui il giovane chiedeva aiuto e conforto al Giordani. Infatti Giacomo Leopardi è conosciuto come “il poeta del dolore e dell’infelicità”. Eppure alcune poesie, come il “Sabato del Villaggio” e la “Quiete dopo la tempesta”, sembrano così liete e serene.
È vero: Leopardi cercava sempre e ossessivamente la felicità. Il suo animo era pronto ad accoglierla.
Il fatto è che, dopo una prima serena e tranquilla visione che regalò allo stesso costante ispirazione, ecco che i più profondi pensieri iniziarono a turbare il suo animo. Per lo stesso poeta il bello del mondo durava troppo poco e spesso si nascondeva dietro un velo di infelicità. Ed è per questo che da sereni come sono all’inizio, i suoi canti finiscono a poco a poco con il diventare disperati. Dopo l’infelice giovinezza trascorsa a Recanati, Leopardi visse a Roma, Milano, Firenze e Pisa.
Nel frattempo, non cessava di studiare e scrivere: se non erano versi, erano lettere o prose. Quelle mirabili prose che, raccolte nei volumi de “Le Operette morali” e de “Lo Zibaldone”, rivelano la profondità e la nobiltà della sua anima. Mentre cercava sollievo all’anima nel bel clima di Napoli, Leopardi trascorse in questa città gli ultimi anni della sua vita, confortato dall’amico Antonio Ranieri.
Leopardi morì nel 1837 a Napoli, a soli 39 anni. L’ultima poesia “La Ginestra”, scritta ai piedi del Vesuvio, è un canto disperato e dolcissimo. Essa rappresenta il vertice supremo dell’arte del pensiero del grande poeta recanatese. I suoi canti, fra tutti non più di 50, sono la pura e più alta espressione della poesia italiana.
Per entrare nel vivo del pensiero leopardiano è necessario letteralmente tuffarsi nei luoghi al poeta più cari. Per fare ciò è possibile portare a termine un bellissimo percorso attraverso i luoghi recanatesi cantati dal poeta. Ecco che dalla Torre del Borgo si passa alla sede dell’Accademia dei Diseguali, alla Torre del Passero Solitario e passando per il Colle dell’Infinito si giunge come ultima tappa alla Piazza del Sabato del Villaggio. Un percorso da affrontare zaino in spalla e con i versi più belli del poeta ben impressi nella mente: in questo modo l’anima si trasformerà in un vero e proprio bersaglio, colpito ripetutamente dalle emozionanti frecce del pensiero di Giacomo Leopardi.
(scritto da Matteo)
San Liberato: ecco la storia del “San Francesco” marchigiano
Tra i personaggi famosi delle Marche è possibile ricordare San Liberato, la cui storia è davvero suggestiva. Nacque a Loro Piceno tra il 1215 e il 1218 dalla nobile famiglia dei Brunforte.
A 18 anni seguì le orme di San Francesco, abbandonando tutte le sue ricchezze, ponendo nelle mani di Dio la sua anima e il suo copro. Al termine del noviziato si ritira nell’Eremo di Soffiano, all’interno del quale, immerso nella fitta vegetazione, si dedicò alla preghiera e alla meditazione.
Quando si parla dell’Eremo di Soffiano non si deve assolutamente pensare ad un grande edificio religioso, ma ad un qualcosa che è ben diverso dalla maggior parte delle costruzioni di tal genere. Infatti, stiamo parlando di una grotta scavata all’interno di una parete rocciosa, dove a regnare è l’armonioso silenzio della natura. Nel 1260 San Liberato e tutti i religiosi che con lui si trovavano presso l’Eremo di Soffiano si trasferirono presso un altro Eremo, quello che oggi è conosciuto come Santuario di S. Liberato. Al suo interno sono conservate le reliquie del Santo, riconosciuto come tale nel 1713 da Papa Benedetto XIV.
Oggi il Santuario di San Liberato è meta di un forte pellegrinaggio ed è uno dei luoghi di culto più importanti della regione. Un luogo mistico e silenzioso, dove la maggior parte dei fedeli si reca per ritrovare pace e serenità. Un luogo di preghiera immerso tra le meraviglie di una regione tutta da scoprire.
Sulle note del grande compositore Gioacchino Rossini
Come rispondereste alla domanda “chi è Gioacchino Rossini?”. Un grande musicista? Uno dei personaggi famosi delle Marche? Colui che rappresenta (insieme a tanti altri compositori italiani) la musica italiana a livello mondiale?
Tutte e tre le opzioni possono andare bene, ma per una risposta precisa devono necessariamente essere fuse tra loro. Solo così si può delineare la figura del grande compositore pesarese Gioacchino Rossini.
Anche le nuove generazioni conoscono Rossini, perché è impossibile non aver ascoltato almeno una volta qualche nota del “Barbiere di Siviglia”. E questo è un qualcosa di straordinario, perché ogniqualvolta si parla di grandi compositori del passato nelle menti dei più giovani il silenzio prende il sopravvento su ogni pensiero. Invece, tutti conoscono Gioacchino Rossini e questo perché la sua fama è giunta in ogni angolo del globo, cavalcando note straordinarie, ed è destinata all’immortalità.
Un attimo, alla domanda “chi è Gioacchino Rossini” possiamo aggiungere un’ulteriore opzione: un genio della musica, con doti fuori dal comune. Ecco ci siamo.
A soli 20 anni le sue opere avevano già fatto il giro dello stivale italiano e tra queste, che meglio rappresentano il giovane genio del compositore, ricordiamo: La cambiale del matrimonio, L’equivoco stravagante e La Pietra di paragone. A 24 anni annunciò al mondo della musica “il Barbiere di Siviglia”, Otello ossia il moro di Venezia e La Gazza ladra. Non semplici opere, non semplice musica, ma sublime arte delle note.
Una carriera che mai si è arrestata, in un crescendo continuo che ha consacrato Gioacchino Rossini come uno degli illustri compositori italiani nel mondo.
Come rendere omaggio a questo grande personaggio marchigiano? Per gli amanti della musica (e non solo) si consiglia di visitare il Tempietto Rossiniano, situato nel bellissimo Palazzo Olivieri a Pesaro (proprietà della Fondazione Rossini).
Un vero e proprio tempio della musica e dell’arte: all’interno oltre che ammirare preziose testimonianze legate al mondo della musica rossiniana, è inoltre possibile regalare ai propri occhi uno spettacolo unico, quello degli affreschi del pittore pesarese Gian Andrea Lazzarini e dei suoi allievi.
Custoditi all’interno di questo meraviglioso palazzo settecentesco sono gli autografi delle opere rappresentate a Napoli per la prima volta: “Elisabetta, Regina di Inghilterra” (4 ottobre 1815), “Otello, ossia il moro di Venezia” (4 dicembre 1816), “Armida” (11 novembre 1817), “La donna del lago” (24 ottobre 1819), “Maometto II” (3 dicembre 1820) e “Adina” (22 giugno 1826).
Ancora tante altre testimonianze del genio musicale di Rossini e una grande sezione dedicata alle numerose onorificenze che il compositore ricevette nel corso della sua incredibile carriera. Proprio in questa sezione è possibile ammirare il quadro di Gustave Dorè che ritrae Rossini sul letto di morte.
Donato “Donnino” di Angelo di Pascuccio detto il Bramante
Bramante nacque a Fermignano nel 1444 ed è conosciuto nel mondo come uno dei più grandi architetti e pittori del tempo. È stato uno tra i maggiori artisti italiani del Rinascimento.
Bramante fu allievo di Fra Carnevale (ad Urbino) e si fece presto conoscere come pittore prospectivo: la sua firma, in ogni sua opera, era la costruzione geometrica architettonica utilizzata come sfondo della scena dipinta.
È conosciuto non solo come uno personaggi famosi delle Marche, ma anche come “inventore luce della buona e vera architettura”. Bramante con la sua tecnica pittorica e con le sue idee di geometrica architettura si presentò agli occhi del mondo come un artista a tutto tondo con innovative idee.
Operò per molti anni a Milano e in molte altre città della Lombardia: suo il progetto planimetrico del bellissimo ed imponente Duomo di Pavia e della cripta. Questo suo progetto lo consacrò come il vero fondatore dell’architettura rinascimentale.
Dopo la lunga esperienza nelle più importanti città lombarde seguì il periodo romano: dal 1507 al 1509 in veste di architetto del Papa si occupò della Basilica della Santa Casa di Loreto e dell’ingresso dell’Abbazia di Montecassiano. Ma, come detto in precedenza Bramante è stato un pittore di ampie vedute e le sue opere da subito son state apprezzate per la perfezione dei nuovi dettagli con cui amava arricchirle.
Bramante morì il 14 aprile del 1514: la sepoltura fu fatta nelle Grotte Vaticane, ma successivamente non è stata più ritrovata.
Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520)
Altro grande protagonista del periodo rinascimentale italiano, che si presentò agli occhi del grande pubblico dell’arte come pittore e architetto. Figlio d’arte, il padre Giovanni Santi era un noto pittore e proprio da lui apprese le prime tecniche del disegno e della pittura. La bottega del padre fu per Raffaello la prima vera scuola, quel trampolino di lancio che lo sbalzò nel meraviglioso mondo dell’arte.
Giovanissimo si trasferì nella bottega di un altro grande artista, Il Perugino, che non poco influenzò le sue prime opere come San Sebastiano, La Crocefissione con due angeli, la Madonna e i Santi Gerolamo, Maddalena e Giovanni Evangelista, L’incoronazione della Vergine.
Data molto importante nella vita di Raffaello Sanzio è il 1504, quando l’artista giunse a Firenze. Un periodo ricchissimo, durante il quale perfezionò la sua tecnica e regalò al mondo delle meravigliose opere come La Madonna Diotallevi e la Madonna Connestabile. Prima abbiamo detto che l’influenza diretta del Perugino si nota in molti suoi dipinti, mentre in altri è possibile ritrovare dettagli di influenza leonardesca, come nel dipinto Donna gravida o quello della Dama con il liocorno.
Nel 1508 arrivò anche per Raffaello Sanzio l’importante chiamata da Roma, direttamente da Papa Giulio II, che commissionò al grande artista marchigiano gli affreschi delle stanze papali (bellissimo l’affresco La scuola di Atene). A Roma si fece conoscere e apprezzare anche in veste di architetto, realizzando il Palazzo dell’Aquila, la Chiesa di S. Egidio degli Orefici e la Cappella in Santa Maria del Popolo.
Anche Papa Leone X si innamorò dell’arte di Raffaello Sanzio per il quale lavorò per ultimare i lavori nelle stanze vaticane: da ricordare è l’affresco conosciuto come Ritratto di Leone X, la Fornarina e la Trasfigurazione.
Raffaello Sanzio morì a soli 37 anni e fu sepolto nel Pantheon: questo era stato il suo ultimo desiderio.
Consigliatissima è la visita presso la Casa Museo di Raffaello, acquistata da Giovanni Sanzio nel 1460. Una casa che fu trasformata in parte in una bottega e che divenne la prima vera scuola per Raffaello. È qui che Raffaello si è formato come pittore, come artista in generale e come uomo. Nel 1873 questa casa di immenso valore (artistico) venne acquistata dall’Accademia Raffaello, fondata da Pompeo Gherardi, che cominciò a custodirla con maniacale gelosia.
Al primo piano è conservata la tela dell’Annunciazione, bellissima opera di Giovanni Santi, affiancata da copie ottocentesche realizzate da Raffaello: la Madonna della Seggiola e la Visione di Ezechiele. All’interno della casa museo si trovano altre opere di immenso valore, come la “Madonna con Bambino”, affresco che si trova nella stanza natale di Raffaello e anche un altro disegno attribuito a Bramante. Manoscritti, ritratti e rare edizioni della cultura ottocentesca sono conservati al piano superiore.
Una casa? Un Museo? Una scuola? Tutto questo in un unico edificio di immenso valore storico e artistico, che rappresenta oggi uno dei luoghi più importanti della storia e del turismo di Urbino.
Molto interessante, non sapevo tutte queste cose!
Complimenti a Mariano Cheli per la dedizione e l’amore verso il proprio territorio, tuttavia tra i personaggi “famosi delle Marce”, non può essere trascurato
un importante figura marhcigiana dell’Illuminismo, MARCUCCI, Francesco Antonio. – il 27 nov. 1717 a Force (Ascoli Piceno), si distinse subito per l’abilità di predicatore, e la sua prima missione al popolo si svolse dal 25 gennaio al 2 febbr. 1739, nella chiesa di S. Giovanni Battista ad Appignano (presso Ascoli Piceno).
L’8 dic. 1744 il M. fondò ad Ascoli la Congregazione delle suore pie operaie dell’Immacolata Concezione dedita, oltre che alla preghiera, all’educazione delle giovani per cui, il 6 marzo 1745, aprì una scuola pia nei locali della congregazione sovvenzionandola con fondi dal suo patrimonio familiare.
Il 30 maggio 1755 conseguì il titolo di dottore in utroque iure presso l’Università di Fermo.
Recatosi a Roma per la consacrazione, vi conobbe Paolo della Croce, col quale iniziò un rapporto di devota amicizia. Il 19 genn. 1774, pur rimanendo vescovo di Montalto, fu nominato vicegerente del cardinale vicario, per cui dovette trasferirsi a Roma, da dove continuò a seguire la sua diocesi, che visitò per alcuni mesi quasi ogni anno. Nel 1774 fu insignito di altre cariche: prelato domestico partecipante, vescovo assistente al Soglio. Fu indicato come cardinale in pectore, ma la morte di Clemente XIV, avvenuta il 22 sett. 1774, impedì la sua effettiva creazione cardinalizia.
Prescelto come consigliere e confessore, dal 27 febbraio al 13 giugno 1782 accompagnò Pio VI a Vienna nell’infruttuoso viaggio diplomatico intrapreso per indurre l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena a una più mite politica di riforme religiose.. Per ragioni di salute rinunciò alla carica di vicegerente ed ebbe il permesso di ritirarsi a Montalto, dove, nel 1789, fu colpito da un primo attacco di paralisi. Ripresosi abbastanza bene, ottenne licenza papale per trasferirsi ad Ascoli Piceno, dove gli sarebbe stato possibile ricevere al meglio l’assistenza di cui abbisognava; non soggiornando più nella propria diocesi, manifestò l’intenzione di rinunciare alla carica di vescovo, ma il papa insistette affinché la mantenesse, col solo obbligo di visitare Montalto in occasione delle funzioni religiose più solenni. Continuò quindi l’attività pastorale in forma più ridotta e, successivamente, dal giugno 1792 al maggio 1795, espletò anche le funzioni episcopali per la diocesi di Ascoli rimasta vacante.
Il 7 maggio 1798 ebbe un nuovo attacco di paralisi; peggiorò il 21 giugno e morì il 12 luglio 1798 ad Ascoli Piceno. Venne sepolto in una piccola cappella a sinistra dell’altare maggiore della chiesa dell’Immacolata Concezione.
Dal 1962 è in corso la causa per la sua beatificazione. Il 24 giugno 1993, ad Ascoli Piceno, nei locali della casa madre delle suore pie operaie, è stato aperto il museo intitolato al Marcucci. Il 23 maggio 2005, presso il tribunale ecclesiastico del Vicariato di Roma si è conclusa l’inchiesta diocesana su di una guarigione prodigiosa a lui attribuita.
Numerosissime opere scritte dal Marcucci, molti dei quali, inediti, sono conservati ad Ascoli Piceno nell’Archivio dell’Istituto delle suore pie operaie dell’Immacolata Concezione.
Mi è piaciuto perché c’erano molti dettagli e sentimenti quindi bravo/a a chi ha scritto questo articolo