I Principali Argomenti
La leggenda di Scilla
La Calabria, nota regione del Sud Italia, nasconde molte leggende tra cui anche “la leggenda di Scilla” Scilla oggi è un ameno e pittoresco paese che, aggrappato su una massiccia scogliera, si gode l’incomparabile spettacolo di quella striscia azzurra Tirreno che giustamente è chiamato “il Bosforo d’Italia”.
È lo Stretto di Messina, così stretto che somiglia ad un grande fiume e separa le due coste, la Calabra e la Sicula. Ma anticamente Scilla era un mostro. Un mostro orribile che, prima di diventare tale, era stato una Ninfa dalle guance rosee, lunghi capelli neri e sguardo incantato.
Un giorno la vide Glauco, un Dio marino, e se ne innamorò, ma Scilla non ne volle sapere. Allora Glauco, sdegnato e inferocito, con il suo potere magico la tramutò in un mostro. Conservava ancora l’aspetto di fanciulla nel volto e dalla cintola in su, ma aveva la parte inferiore a forma di pesce e la coda di delfino.
Disgustata dal suo aspetto e disperata, Scilla si buttò in mare. Dal gorgo che la inghiottì sorse un’altra scogliera nella quale continuò a vivere perfida il mostro, accanito contro i naviganti. A far da contrapposto a Scilla, la leggenda mise al di là dello Stretto, un altro feroce mostro, Cariddi. Questo mostro inghiottiva tre volte al giorno l’acqua e tre volte la rigettava. Era dunque difficile la navigazione nello Stretto. Infatti o si veniva risucchiati o travolti.
Chi scampava da Cariddi, era attratto da Scilla e la barca finiva contro la scogliera. Sue vittime furono anche dei compagni di Ulisse, il famoso eroe greco. Non appena essi si allontanarono dall’isola di Circe, si avvicinarono allo Stretto e sei compagni di Ulisse furono afferrati e divorati da Scilla. La leggenda è nata per il pericolo delle correnti marine dello Stretto, ma adesso lo si può navigare tranquillamente e ammirarne la superba scogliera.
Fata Morgana: due versioni di una bellissima leggenda
Passeggiando sul lungomare reggino è possibile scorgere in lontananza piccoli paesi della costa siciliana all’orizzonte, i quali si deformano, cambiano colore e si specchiano tra mare e cielo. No, non si tratta di una semplice illusione ottica, ma di un vero e proprio incantesimo.
Fata Morgana ha deciso di farvi vivere una suggestiva esperienza, simile ad un miraggio. La leggenda narra che anche Ruggero d’Altavilla fu incantato dal sortilegio. Infatti, per indurlo a conquistare la Sicilia, Fata Morgana fece apparire la terra sicula così vicina, che sembrava poter essere toccata con mano. Ma, Ruggero decise di conquistare la Sicilia, senza l’aiuto di Morgana e di ogni suo sortilegio. Rifiutato l’aiuto, impiegò circa 30 anni per conquistare la terra citata.
Esiste anche un’altra versione della leggenda di Fata Morgana, ma che rimane legata alla possibilità di poter scorgere dalla costa calabrese, quando il mare è calmo e il cielo limpido, i centri abitati della vicinissima Sicilia. Era agosto, il clima era mite, non tirava un alito di vento, il mare sembrava immobile e una leggera nebbiolina velava l’orizzonte. Un’orda di conquistatori barbari giunse proprio a Reggio Calabra. Da qui poterono ammirare la vicina Sicilia, dove l’Etna fumante attirò la loro attenzione. Il loro re subito chiese come poter raggiungere la vicina isola, poiché sprovvisti di navi, dato che erano lì giunti per terra. Si presentò una donna bellissima, che offrì letteralmente l’isola al re barbaro e con un gesto della mano la fece apparire vicinissima. I barbari sgranarono gli occhi: potevano toccarla con mano. Quasi.
Esultante di gioia il re barbaro si gettò in mare, pensando di poter raggiungere addirittura a nuoto la vicina Sicilia, ma l’incanto si ruppe e affogò miseramente nelle acque dello Stretto. Fata Morgana lo aveva ingannato, così come aveva tratto in inganno tantissimi altri uomini, desiderosi di raggiungere la vicina isola.
Il fenomeno si ripete ancora oggi, solo nei giorni calmi e limpidi d’estate, nelle acque della riva di Reggio.
L’amore infelice della suora fantasma Adele
La vicenda è ambientata in un periodo storico ben preciso: siamo a cavallo degli anni 1830-1840. Una storia d’amore struggente e coinvolgente, che si presenta come vera e autentica. Due giovani, appartenenti a due famiglie dell’aristocrazia catanzarese dell’epoca, si innamorarono perdutamente. Stiamo parlando di Adele, figlia del marchese De Nobili, e di Saverio Marincola. Le famiglie dei due giovani non erano in buoni rapporti, poiché appoggiavano anche diversi orientamenti politici. Ecco perché i due innamorati erano soliti incontrarsi di notte, furtivamente. Saverio si recava sotto la finestra della sua amata: tra baci lanciati e promesse d’amore i due vivevano in questo assurdo modo, ma comunque romantico, la loro storia d’amore.
Purtroppo, uno dei fratelli di Adele si accorse della tresca amorosa tra i due giovani e non esitò un secondo a scendere in cortile per fronteggiare il povero Saverio, il quale però, all’arrivo degli altri due fratelli, spaventato, riesce a scappare e sottrarsi alla furia dei tre. Per punizione Adele fu rinchiusa letteralmente nella sua stanza, dalla quale non poté più uscire in alcun modo, perché sorvegliata a vista.
Il grande amore di Saverio
Ma, l’amore di Saverio era troppo grande e riuscì ad escogitare un nuovo metodo per poter rivedere la sua bella Adele, senza che quest’ultima rischiasse nulla. Si presentò la sera sotto Palazzo De Nobili in sella al suo cavallo, i cui zoccoli aveva ferrato d’argento, in modo tale che il suono fosse diverso da quello prodotto dal galoppo degli altri cavalli. Il diverso suono era un segnale: udito, la giovane si affacciava alla finestra e lanciava un bacio e dolci sguardi al suo amato. Così andarono avanti per mesi, fino a quando una sera, il povero Saverio fu vittima di una imboscata nei pressi di Catanzaro lido. Dei balordi spararono dei colpi di carabina ferendolo mortalmente. La notizia getta Adele nello sconforto più totale e, chiusa nel suo dolore, smise di mangiare e dormire.
Chi ha sparato a Saverio? Poco dopo si scoprì che ad uccidere il giovane erano stati i malvagi fratelli di Adele, i quali decisero di scappare a Corfù. Anche Adele decise di lasciare quel maledetto posto, recandosi al Convento delle Murate Vive a Napoli e diventò suora. Adele si considerava morta per il mondo intero e, dato che non aveva il coraggio di uccidersi, decise di essere il simbolo del rimorso per i fratelli che si erano macchiati le mani di sangue. Dopo alcuni anni Adele morì, ma secondo le testimonianze solo fisicamente. Infatti, in molti hanno giurato di vedere una figura spettrale, vestita da suora, aggirarsi nel Palazzo De Nobili. Strani rumori rompevano il silenzio che avvolgeva le stanze del grande palazzo: oggetti che si spostavano, catene trascinate, porte che sbattevano e si riaprivano da sole. Si dice che lo spirito della suora innamorata Adele ancora sia carico di rancore e di odio per l’ingiusta morte di Saverio. Adele, o meglio, il suo fantasma ha deciso di tornare proprio nella casa paterna, con la speranza di poter rivedere, affacciandosi alla finestra della sua stanza, il volto del giovane di cui era follemente innamorata, giungere sul suo elegante cavallo.
Un’anima dannata che vaga per il palazzo. Perché dannata? Non era stata la fede a far prendere i voti ad Adele, ma la disperazione e l’odio. Quindi, il suo giuramento a Dio era stato un falso giuramento. Adele è condannata a vagare per sempre.
Ligea: una bellissima ninfa alata
Ligea, Partenope e Leucosia erano tre sorelle, tre bellissime sirene venerate soprattutto nella Magna Grecia. Le tre creature cercarono di fermare Ulisse con il loro ammaliante canto, ma l’astuto e coraggioso eroe, riuscì ad escogitare un modo perfetto per non cadere nella tentazione di lanciarsi in mare, per raggiungere lo scoglio dove le sirene erano solite sostare. Ulisse, infatti, si tappò le orecchie e si fece attaccare dai suoi compagni all’albero maestro della sua imbarcazione. Le incantatrici si sentirono umiliate e in preda ad un forte sconforto, si gettarono in mare per uccidersi. I tre corpi furono trascinati dalla corrente in tre diverse direzioni: il corpo di Partenope venne gettato sulla costa napoletana, quello di Leucosia si arrestò alla foce del fiume Sele, mentre quello di Ligea, ancora viva, si fermò nel maestoso Golfo di Sant’Eufemia.
Ligea rimase impigliata nelle reti che i pescatori avevano gettato durante la notte e, quando tornarono per recuperarle, per vedere cosa erano riusciti a pescare, rimasero a bocca aperta. Ligea era bellissima e proprio per questo il più anziano dei pescatori decise che quella strana ma incantevole creatura non meritava di morire, ma doveva essere assolutamente salvata. Dolcemente fu recuperata dai pescatori e fu condotta poco lontano, su di una collina circondata da acque salmastre. Adagiata al suolo, fissò i pescatori ed esalò l’ultimo respiro. Gli uomini donarono alla sirena degna sepoltura.
Da quel giorno quando i pescatori che erano in mare spesso rivolgevano il loro sguardo verso la collina, ben visibile da lontano, e molti riuscivano a vedere Ligea che sorvolava l’area, grazie a delle grandi ali. Ligea era solita aiutare i pescatori nelle notti di tempesta, traendoli in salvo e trasportandoli su quella altura.
Tempo dopo su quella collina fu costruita la città di Terina, una splendida colonia greca, nota per la finezza dell’oreficeria e l’abilità dei propri artigiani, divenuti dei grandi maestri nell’arte del conio. Le monete di Terina recano impressa un’immagine della ninfa alata.
La sirena, trasformatasi in alata ninfa dalla bellezza incantevole, ancora è solita aggirarsi in quelle zone, pronta ad aiutare qualsiasi navigante in difficoltà.
Ecco alcuni versi dedicati a Ligea:
“Quanto a Ligea, naufragherà presso Terina
Sputando acqua di mare; i naviganti
La seppelliranno sulla riva ghiaiosa
Vicino ai vortici dell’Okinaros, che come
Un altro Ares dalle corna di toro, con le sue acque
Bagnerà il monumento della fanciulla alata”
Da Licofrone, Alexandra, vv. 726-731
Le leggende del promontorio di Capo Vaticano
Capo Vaticano è una delle località più belle della Calabria, meta di un turismo sempre crescente, che nel mare cristallino e nella bellezza del paesaggio trova la sua ragion d’essere. È il promontorio magico, che si affaccia sul mar Tirreno, a lungo considerato luogo inaccessibile e sacro, a far crescere la curiosità in numerosi visitatori, che qui si recano. La punta estrema del promontorio di Capo Vaticano si dice sia abitata dalla profetessa Manto. A lei si sarebbero rivolti naviganti, timorosi nell’affrontare il viaggio in mare tra i vortici di Scilla e Cariddi, tra i quali anche il famoso Ulisse.
Sotto il promontorio, invece, si distendono, in tutta la loro naturale bellezza, spiagge incantevoli di bianca e finissima sabbia. Torre Ruffa è una di queste, scenario di una triste vicenda della Calabria. Rapita dai saraceni, la bellissima Donna Canfora si sarebbe suicidata proprio in prossimità di questa località. Si gettò dalla nave dei suoi rapitori e annegò in mare. Prima di morire urlò: “Le donne di questa terra preferiscono la morte al disonore!”. Da allora, il mare, per onorare il grande sacrificio della bellissima donna, cambia colore ad ogni ora, assumendo tutte le sfumature dell’azzurro, per ricordare proprio il colore del velo che la stessa sempre indossava.
Le onde, invece, che si infrangono contro la battigia sembrano parlare, riproducendo il triste lamento di Donna Canfora, la quale ogni notte saluta la sua amata terra. Una parte di costa calabrese dove forte è la tradizione popolare, la quale si fonde perfettamente con la natura che qui ancora ha il sopravvento sull’uomo. Un giardino incantevole, che si affaccia sul mare della Calabria, con una bellissima vista sulle Isole Eolie.