La leggenda delle Streghe di Benevento

La Campania è una regione del Sud Italia e racchiude in sé poche ma stupende leggende collegate direttamente al territorio e dunque ai sapori e agli odori che da essi ne derivano. Tra le tante, è d’obbligo menzionare la leggenda delle Streghe di Benevento, a cui fa riferimento il famoso liquore Strega. Una leggenda che ha aumentato a dismisura la fama di questa bellissima città campana, che si colloca nei primi posti dei luoghi più misteriosi d’Italia. La leggenda narra che Benevento è la città ove si radunano tutte le streghe italiane. Una credenza popolare che viaggia spedita tra realtà e fervida immaginazione. Tanti i testi che famosi scrittori hanno redatto proprio su questa affascinante leggenda, tante le composizioni di musicisti e altrettante le opere di artisti, nate proprio da questa antica credenza popolare.

La leggenda delle streghe di Benevento comincia a viaggiare di bocca in bocca dal 1273, a seguito di testimonianze di riti legati alla stregoneria, avvenuti proprio in questa città. Riti sacri per le streghe, che si svolgevano sotto un grande albero di noce: questa la dichiarazione di Matteuccia da Todi, processata per stregoneria nel 1428. Proprio sotto un grande albero, nel XVI secolo furono rinvenute delle ossa: il mistero cominciava ad attraversare menti e l’anima della gente del posto e non solo.

Perché proprio un albero di noce e dove si trova questo albero del mistero? Le streghe avevano scelto l’albero di noce perché una pianta sempreverde e dalle qualità nocive, il quale secondo le versioni più attendibili della leggenda si troverebbe in una gola, lo Stretto di Barba, lungo la strada per Avellino. Qui, nel bel mezzo di un fitto boschetto, al fianco di una chiesa abbandonata, avvenivano e, forse, tuttora avvengono i riti della stregoneria.

Le streghe di Benevento, secondo la leggenda, erano solite ungersi le ascelle e il petto con un magico unguento, che permetteva loro di spiccare il volo a cavallo di una scopa, dopo aver pronunciato delle precise parole: “Unguento unguento
portami al noce di Benevento, sopra l’acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo”.
Una frase magica che non solo permetteva alle streghe di volare, ma che garantiva alle stesse una spettacolare trasformazione: diventavano incorporee, simili al vento. Quindi, pronte per spiccare il volo si lanciavano da un luogo ben preciso, il Ponte delle Janare (ponte delle streghe), che tuttora esiste, tra i due paesini Guardia Sanframonti e San Lupo.

Giunte al grande albero di noce, cominciavano i riti demoniaci, accompagnati da grandi banchetti, danze e orge con spiriti e demoni, che assumevano le sembianze di gatti o caproni. Terminati questi diabolici riti, le streghe di Benevento erano pronte per andarsene in giro a spaventare e seminare orrore. I loro poteri erano davvero incredibili: potevano causare aborti, generare deformità nei neonati, soffocavano i dormienti e provocavano atroci sofferenze alle persone.
Ancora oggi, in alcuni piccoli paesini campani, tra gli anziani, circolano voci secondo cui le streghe di Benevento, di notte, sono solite rapire i neonati per gettarli nel fuoco. Non per ucciderli, ma per sfigurali, per poi riportarli nuovamente a casa.

Un modo, però, per difendersi da queste malefiche streghe c’era: dato che erano solite entrare in casa passando dall’uscio della porta d’ingresso, tutte le persone lasciavano del sale o una scopa proprio in quel punto. Infatti, le streghe, prima di poter entrare dovevano per forza contare i granelli del sale o i fili della scopa. Una lunga operazione, che non terminava prima del sorgere del sole, quando le streghe dovevano tornare nei loro rifugi. Solo in questo modo ci si poteva salvare. Col trascorrere dei secoli, la leggenda delle streghe di Benevento si è sempre più arricchita e rafforzata, tanto che ancora oggi è considerata come un pilastro portate della tradizione popolare beneventana. Visitate la città di Benevento, ma ricordate di lasciare una scopa davanti la porta prima di addormentarvi.

La leggenda della Regina Verde

Per un attimo allontaniamoci dalla tradizione popolare legata all’arte culinaria di questa terra ricchissima di sublimi sapori e forti e avvolgenti profumi, per addentrarci nel vivo di tre affascinanti leggende legate al meraviglioso mare che bagna le coste campane. La prima è la leggenda della Regina Verde. 

Si narra che la bellissima figlia del comandante dei saraceni, scendendo per prima dal vascello, lasciò cadere in acqua, involontariamente, il velo azzurro che portava sempre per coprire il suo viso. Mai nessuno l’aveva vista in faccia, ma quel giorno i presenti allo sbarco rimasero a bocca aperta, increduli e affascinati. La ragazza era davvero bellissima e il suo volto aveva il colore dello smeraldo e risplendeva al sole come un gioiello prezioso di rara fattura. Tutti i pescatori e i contadini di Agropoli rimasero incantati, affermando di non aver mai visto nulla del genere, un miracolo così. Ecco perché decisero di ribattezzare la ragazza con il nome di Regina Verde.

Molti si innamorano della bella fanciulla e si presentavano al cospetto del comandante dei mori proprio per chiedere la mano della figlia, che però allontanava tutti. Un giorno la bella Regina Verde, passeggiando per Trentova, vicino le barche ormeggiate, fu vittima di un incidente: un pescatore la colpì involontariamente nel mentre che tirava le sue reti, per sistemarle e ripartire il giorno dopo.  Un incidente che non le procurò ferite, ma fece innamorare all’istante la fanciulla del pescatore.

la bellissima baia di Trentova

Osservò a lungo le sue mani callose e rovinate dal sole, che abilmente maneggiavano le reti che l’avevano colpita. La Regina Verde rimase letteralmente incantata dal viso di quell’uomo, dalla bellezza profonda e misteriosa. Anche il pescatore rimase colpito dalla bellezza della fanciulla e i due furono travolti da una grande passione: fu amore a prima vista. Da quel giorno, ogni mattina, la regina verde salutava dall’alta rupe della città il pescatore suo amato, che si allontanava in mare aperto. Ma, un terribile giorno, il pescatore non fece ritorno, annegato a causa di una grande tempesta che aveva distrutto e affondato la sua imbarcazione. L’amata lo attese per giorni, nella speranza di rivedere il volto della sua dolce metà, ma così non fu. Disperata si gettò proprio dall’alta rupe. Gli Dei, incantati da quello che era un grande e sincero amore, trasformarono la regina in una ninfa. Le leggenda narra che la Regina Verde ancora abiti, nelle vesti ora di una bellissima ninfa, in una grotta sottomarina. I pescatori di Agropoli sono soliti udire le sue urla di disperazione durante le notti di tempesta, mentre ancora cerca il suo amato.

La leggenda della sirena Partenope

E’ questa la seconda leggenda che vi proponiamo, legata al sublime paesaggio campano, nello specifico al Golfo di Napoli. Partenope, Leucosia e Ligeia erano tre bellissime sirene, figlie della Musa della Tragedia Melpomene e del Fiume Archeoo, il corso d’acqua più importante di tutta la Grecia. Tutte e tre le sorelle erano bellissime: il loro fascino non aveva limiti, ma sulle stesse purtroppo pendeva una terribile maledizione. Infatti, il rifiuto di un uomo le avrebbe condannate a morte.

La leggenda narra di un numero incredibile di pescatori, che udita la voce incantevole e irresistibile delle sirene, si gettavano in mare, con la speranza di raggiungerle. Ma, la corrente del mare li trasportava inesorabilmente contro gli scogli, uccidendoli. L’eroe greco Ulisse, che era stato avvertito dalla maga Circe, sulla pericolosità del canto magnetico delle tre sirene, si tappò le orecchie. Lo stesso fece fare ai suoi compagni, ai quali chiese anche di farsi legare all’albero maestro, per essere sicuro di non cedere in alcun modo e, quindi, di non gettarsi in acqua.

bellissimo monumento dedicato alla sirena Partenope

L’imbarcazione passò nelle vicinanze degli scogli dove dimoravano le tre bellissime sirene incantatrici, ma quella volta nessuno si gettò in mare. Folli di disperazione, si lasciarono morire. Partenope fu trascinata dalla corrente a Megaride, nel golfo di Napoli. Il suo bellissimo corpo, ormai senza vita, fu trasformato dagli Dei in un paesaggio incantevole: quello che oggi è lo straordinario Golfo di Napoli, uno dei punti più belli dell’intera penisola italiana. Ecco perché la città di Napoli, in antichità, era conosciuta come Partenope.

La leggenda della campana sommersa

La terza leggenda, che ha come indiretto protagonista il mar Tirreno con il suo blu pastello, ha come protagonisti i saraceni. Lo scenario è quello della meravigliosa Sorrento. Un brutto i giorno i corsari saraceni assalirono la città di Sorrento. Seguirono ore terribili durante le quali gli invasori uccisero molti cittadini, saccheggiarono Chiese e palazzi, devastarono e incendiarono. Radunato l’enorme bottino, il capo saraceno però non era soddisfatto ed esclamò a gran voce “voglio anche le campane”. Così i campanili delle Chiese di Sorrento furono spogliati delle loro campane.

Erano tutte campane molto belle, ma la più bella era la campana della Chiesa di Sant’Antonimo. E fu questa che il corsaro si scelse come facendola issare sopra la nave ammiraglia. A un certo punto la nave pirata, in cammino, si arresta improvvisamente frenata da una forza misteriosa. Provarono ad alleggerire la nave, ma niente da fare. Allora il capo, esasperato, disse di buttare in mare la bella campana. Allora la nave si mosse e la campana è ancora lì, in fondo al mare.

Dopo questo tuffo nel acque cristalline dell’incantevole mare campano, torniamo alle leggende legate alla tradizione culinaria.

Il caffè di Napoli: tra storia e leggenda

Come abbiamo detto, sono tantissime le leggende campane che collegano il mondo del mistero a quello dell’arte culinaria, che qui, in queste meravigliose zone è sacra. “Questa bevanda del diavolo è così buona… che dovremmo cercare di ingannarlo e battezzarlo.” Così si espresse Papa Clemente VIII dopo aver assaporato il gusto di questa scura bevanda, oggi simbolo della città di Napoli, ma in fin dei conti dell’Italia intera.

Si racconta che tutto ebbe origine dalle pene d’amore del musicologo Pietro della Valle nel 1614. Da Roma si trasferì a Napoli, da dove partì per la Terra Santa. Proprio in quelle terre lontane conobbe un’affascinante fanciulla, della quale si innamorò perdutamente e che portò il musicologo a restare lì per ben 12 anni. Pietro della Valle mantenne i contatti solo con l’amico Mario Schipano, al quale raccontò, in una delle tantissime lettere che con costanza inviava a Napoli, di aver assaporato una bevanda, il “kavhe”, dal profumo unico ed inebriante, nonché dal forte sapore avvolgente. Probabile che, al suo ritorno, il giovane introdusse il kahve (caffè) a Napoli.

Napoli, però, cominciò ad apprezzare questa amara bevanda solo agli inizi dell’800, grazie anche ai numerosi caffettieri ambulanti, che percorrevano la città in lungo e in largo, diffondendo l’odore del caffè e vendendo la bevanda calda ai cittadini. Oggi, queste figure non esistono più, ma il caffè è diventato il simbolo indiscusso della città: un modo per sentirsi più uniti. Fermarsi ad assaporare un buon caffè a Napoli è un vero e proprio rito, quasi sacro.

La leggenda del Lacryma Christi

Stiamo parlando di un ottimo vino, chiamato appunto Lacryma Christi, che si ricava da una particolare qualità di vite che prospera sulle pendici del Vesuvio. Narra una leggenda che, al tempo in cui Gesù girava il mondo, capitò in Campania. Qui giunto, il Messia volle salire sul Vesuvio per ammirare lo stupendo panorama di Napoli. Fu commosso da tanta bellezza. Esclamò: “è proprio un pezzetto di Paradiso questo: peccato che i suoi abitanti siano dei peccatori”. E così gli si riempirono gli occhi di lacrime. Un giorno alcune donne pie vollero piantare dei tralci dove il terreno era stato bagnato dalle lacrime di Gesù. Subito prosperarono viti che diedero uva eccellente da cui si ricavò appunto il famoso vino “Lacryma Christi”.

Il miracolo di San Castello

Altra bellissima leggenda è “il miracolo di San Catello”. Il patrono di Castellammare di Stabia è San Castello, Vescovo e Martire, al quale i fedeli attribuiscono diversi miracoli. Tra questi si ricorda il miracolo del grano. Un anno, a causa di una brutta e lunga siccità tutti i paesi intorno al Vesuvio furono colpiti da una grave carestia. Le bestie morivano per mancanza d’erba e gli uomini, di conseguenza, morivano anch’essi di fame. Si inginocchiavano davanti a San Castello e, piangendo, lo pregavano.

Un giorno di Giugno una nave piena di grano fu accostata da una barchetta sulla quale c’era un vecchio con la barba lunga. Il vecchio salì sulla nave e riuscì a convincere il capitano della nave a portare il carico a Castellammare dove lo avrebbero pagato. Lui lo fece e concluse ottimi affari. Cercò il vecchio e ne chiese notizie per ringraziarlo, ma nessuno lo conosceva. Alla fine si scoprì che il vecchietto era il Patrono della città.

In cucina e non solo

Il turismo enogastronomico riscuote anno dopo anno un ampio successo grazie all’opportunità che offre ai turisti di scoprire le tradizioni culinarie e unirle alle leggende e alla storia del territorio.
In Campania le iniziative che riguardano questo tipo di attività turistica sono numerose e nell’estate 2007 hanno visto come protagoniste Napoli e le costiere amalfitana e sorrentina. Eventi che ormai vengono promossi ogni anno.

L’Azienda autonoma di cura, soggiorno e turismo di Maiori guidata da Giacobbe Ruocco, con la collaborazione rispettivamente delle Aacst di Capri e di Sorrento e dell’assessorato al Turismo della Regione hanno promosso l’itinerario tra i sapori e i prodotti tipici di Capri, di Sorrento e della costiera Amalfitana. Il percorso partiva da Sorrento, proseguiva per Furore, cittadina limitrofa, e si conclude a Ravello il 21 luglio. Il nome del progetto era «A voyage in wine and music», un titolo significativo per sottolineare l’unicità dell’evento che prevedeva la presentazione dei vini della cantina di Ettore Sammarco, Terre Saracene Bianco, Selva delle Monache Rosso Riserva e Bianco, e con il concerto del soprano Filomena Musco e del pianista Eugenio Fels.
Il “voyage in wine and music” non è stato l’unico evento dell’estate campana. Esso è stato accompagnato dal progetto “I Percorsi del gusto” che ha visto come protagonista la città di Napoli in
un itinerario turistico della città che ha come obiettivo, far conoscere i sapori e i gusti tradizionali della terra partenopea. Questa è stata una nuova offerta del CitySightSeeing e si chiama “I percorsi del gusto”.

Il progetto nato dalla collaborazione tra l’Ente regionale di Sviluppo Agricolo, Ersac e la società dei famosi bus a due piani, privi di tetto. Esso promuove il turismo enogastronomico, alla scoperta non solo delle bellezze paesaggistiche ma anche culinarie dell’area vesuviana. L’itinerario prevede la partenza da Napoli, ogni domenica mattina fino al 28 Ottobre, presso il Largo Castello. Il tour è della durata di sei ore e durante il tragitto si effettuano soste presso aziende locali per consentire ai visitatori di apprezzare i prodotti locali, quali vino, olio e frutta.
Perché non passare un’estate all’insegna dei sapori e degli odori della tradizione partenopea?

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