I Principali Argomenti
La Liguria, regione del Nord Italia, racchiude tante bellissime leggende.
Il Drago della baia di San Fruttoso
La più importante e conosciuta è sicuramente “il drago della baia di San Fruttuoso”. Nella solitaria e magnifica baia si fermò un giorno un orribile mostro. Chi lo aveva visto assicurava che fosse un terribile e spaventoso drago che divorava tutti coloro che gli capitavano a tiro. Dal giorno del suo arrivo infatti le navi giravano alla larga dalla baia per non cadere nelle grinfie del temibile drago. Ma Dio aveva già scelto quel luogo stupendo per farvi sorgere una chiesetta in onore di San Fruttuoso, morto martirizzato. Un giorno a Giustino e a Procopio, ex compagni del Santo, si presentò un angelo che disse: “seguitemi, Dio mi ha ordinato di condurvi in un luogo bellissimo lontano da qui. Là voi erigerete una chiesetta che ricorderà per sempre il vostro caro compagno”. Così i due, protetti dall’angelo, arrivarono alla baia già scelta però dal drago come sua dimora.
Allora l’angelo e il mostro lottarono. Il mostro, ferito, sollevava altissimi cavalloni d’acqua mentre l’angelo lo colpiva con precisi colpi della sua infallibile spada. Alla fine vinse l’angelo. Così in quel tranquillo angoletto i due costruirono la chiesetta in onore di San Fruttuoso. Più tardi i Benedettini, visto che la Chiesa era andata in rovina, vi costruirono la bellissima Abbazia che oggi possiamo ammirare e che è una delle più belle di tutta la Liguria.
Genova: La leggenda della vecchina di Vico dei Librai
Se avete intenzione di visitare Genova, “la dominante dei mari”, prestate molto attenzione quando passeggiate per i vicoli del centro storico: il fantasma di una vecchina potrebbe manifestarsi ai vostri occhi. La leggenda narra che per il centro storico di questa meravigliosa città si aggiri lo spettro di una vecchia signora, con indosso vecchi abiti. La vecchina si aggira sperduta tra gli stretti vicoli e con fare inquieto e confuso è solita chiedere, in uno stretto dialetto genovese, indicazioni per raggiungere Vico dei Librai. Infatti, la povera e anziana signora dice di essersi persa e che più non trova la strada per tornare a casa. In molti affermano di essere stati fermati, ma durante la conversazione la vecchina improvvisamente sparisce nel nulla.
Genova è la città dei carruggi, che si materializzano in un grande labirinto di vicoli, che molto spesso ingannano anche i residenti. È facilissimo perdersi nel cuore di Genova ed è proprio quello che è successo a questa povera vecchina. La cosa strana è che Vico dei Librai, la precisa destinazione che questa donna di età avanzata desidera raggiungere, non esiste più dalla seconda guerra mondiale, quando la città venne bombardata dai tedeschi. Quindi, non può che trattarsi di un fantasma.
Come detto in precedenza, sono tante le testimonianze di persone che hanno dichiarato di aver parlato per alcuni istanti con la vecchina e tra le tante vi è quella di una ragazza che risale al 1997. La ragazza ha raccontato di essere stata avvicinata da questa vecchia signora e in un primo momento ha pensato ad una mendicante in cerca di elemosina. Ma, la vecchina le domandò semplicemente delle informazioni. Proprio mentre la ragazza parlava con l’anziana signora, si avvicinò un’amica della giovane, che le chiese perché stesse parlando da sola. In quel preciso istante la vecchina scomparve nel nulla.
Un’altra incredibile testimonianza è quella di due donne che lavorano in un bar del centro storico, alle quali la vecchina ha chiesto una tazza di latte caldo e, sul bancone del bar, ha lasciato delle monete coniate nel 1940 e un borsellino, prima di uscire dal locale. Una delle bariste è corsa fuori per restituire il tutto alla signora, ma della stessa, che comunque camminava lentamente, non c’era più traccia. Il mistero a Genova è vivo più che mai: chi è la vecchina di Vico dei Librai?
La leggenda del ponte di Zan
Nei pressi del Castello della Pietra vi è un ponte, attorno al quale circolano diverse leggendarie voci. Una leggenda che si avvicina a quella di Point Saint Martin: il diavolo ha costruito il ponte per gli abitanti del luogo, ma in cambio avrebbe chiesto l’anima della prima persona che l’avrebbe attraversato.
Una volta costruito, il ponte non fu attraversato a lungo da nessuno, per paura di perdere la propria anima, fino a quando Zan (Giovanni in dialetto genovese) riuscì ad escogitare un furbo modo per ingannare il diavolo. Zan fece rotolare una forma di formaggio lungo tutto il ponte, la quale fu rincorsa dal suo fedele amico a 4 zampe. Il diavolo fu ingannato e furioso decise di seguire Zan per colpirlo nel momento più propizio. Intanto, il giovane genovese divenne un vero eroe e fu ricoperto d’oro e ricchezze di ogni genere, che gelosamente custodiva in un grande forziere, che seppellì per mantenerlo al sicuro. Fu allora che il diavolo si vendicò: sicuro che il giovane lo avrebbe ripreso, lanciò sul forziere una forte maledizione. Chiunque avesse provato a disseppellire il forziere, sarebbe stato travolto da una frana spaventosa.
Zan venne a conoscenza della maledizione e chiese aiuto alla popolazione. Si decise di costruire proprio in quel punto una Chiesa e sul terreno il parroco gettò dell’acqua santa, per allontanare ogni forma di presenza demoniaca. Il tutto funzionò, perché Zan recuperò in tutta tranquillità il suo forziere: la maledizione era svanita. Il ponte di Zan crea una splendida cornice al Castello della Pietra, una struttura che sembra anch’essa essere stata costruita da forze soprannaturali, poiché la posizione è incredibilmente spettacolare e roccia ed edificio sono cosa unica.
La leggenda dell’albero d’oro
Nello storico quartiere di San Fruttosio, vi è una strada che si perde tra gli alti palazzi: Via dell’Albero d’Oro. Ma, da dove deriva questo particolare nome? Infatti, risulta difficile immaginare che lì, tra gli alti palazzi di una delle zone dove la selvaggia urbanizzazione è stata davvero forte, un tempo vi erano alberi o qualsiasi altra forma di vegetazione.
Invece, la leggenda narra che un tempo molto lontano, proprio il grande quartiere di San Fruttosio era ricco di boschi, di orti e coloratissimi e profumati frutteti. Insomma, era letteralmente diverso da come oggi si manifesta agli occhi del visitatore. Un quartiere abitato prevalentemente da contadini, che vivevano seguendo i canoni della semplicità, in piccole casette immerse nel verde.
La maggior parte di quei terreni coltivati apparteneva ad un signorotto del luogo, conosciuto da tutti come una persona che di lavorare non ne voleva proprio sapere. Amava vivere nel lusso, spendere e divertirsi organizzando feste sontuose. Ovviamente, frequentava solo i nobili e le persone più ricche della città, con i quali si misurava a suon di costosi regali per le dame del luogo. Un signorotto che non amava il lavoro, ma comunque praticava costantemente un’attività per cercare di guadagnare tanti soldi: giocare a dadi.
Ma, il gioco d’azzardo non ha mai portato a nulla di buono: il signorotto perse velocemente tutto il suo immenso patrimonio, indebitandosi con tantissime persone. Era convinto però di poter vincere e ritornare ad essere ricco come prima. Così, in nell’ultima puntata di quella che era la sua ultima partita a dadi (oltre non poteva andare perché non aveva nulla da offrire) mise come posta in gioco un suo grande albero di proprietà. Vinse la partita. Vinse anche tutte le altre partite successive, giorno dopo giorno, recuperando tutti i suoi averi e ancor più ricchezze di quante prima possedeva. Era felice, ma non era più lo stesso: il viziato signorotto si era trasformato in un uomo più razionale e, anche se è difficile descriverlo con queste parole, più umile. Infatti, capì che quell’albero rappresentava la dignità, l’amor proprio, il coraggio di prendersi le proprie responsabilità. Identificò quel normalissimo albero come la sua ancora di salvezza, che lo tirò fuori dal vortice del gioco d’azzardo e che gli fece capire che il voler raggiungere il gradino più alto sulla scala del lusso e dall’appariscenza non è poi il migliore obiettivo da porsi nella vita. Capì il valore delle cose e il rispetto, per sé stesso e per gli altri. Ecco perché quell’albero fu battezzato come Albero d’Oro.
Negli anni ’80 un vecchio albero fu abbattuto proprio nell’omonima via e secondo la tradizione popolare si trattava proprio dell’albero che permise al signorotto viziato di diventare un uomo pieno di valori. In tanti credevano e ancora credono in questa leggenda, così un nuovo albero più giovane è stato piantato proprio nello stesso punto, come buon auspicio.
Il fantasma del Tetro Carlo Felice di Genova
Sono tante le leggende che rendono ancor più affascinante la città di Genova, città elegante e misteriosa. In Piazza De Ferrari, nell’alto medioevo, era ubicata la maestosa Basilica di Sant’Egidio, che i cristiani avevano ricavato da un antico tempio sotterraneo, che presentava un fitto reticolo di catacombe. Alla fine del 1300 la chiesa fu trasformata nel Convento di San Domenico, il quale fu designato nel 1540 come oscuro luogo di torture dell’Inquisizione.
La leggenda narra che in Vico del Filo abitava Leyla Carbona, la figlia di un liutaio, la quale fu condannata ingiustamente per stregoneria. La povera ragazza non fu neanche torturata, perché morì per lo spavento prima le macabre operazioni iniziassero e il suo corpo fu sepolto nelle catacombe.
Nel 1797 i francesi attaccarono la città di Genova e distrussero il Convento di San Domenico. La Liguria passò sotto poi sotto il Regno di Savoia e il re Carlo Felice fece costruire sulle rovine dell’antico edificio religioso, un bellissimo teatro, inaugurato nel 1828. Fu la musica della cerimonia di inaugurazione a risvegliare il fantasma della giovane Leyla, che morì a soli 16 anni, la quale si mostrò ai presenti con una lunga veste di velluto scuro. Da quel giorno, il pallido fantasma vestito di nero appare spesso all’interno del teatro e tantissime sono state le testimonianze di chi ha assistito a questa macabra ed irreale apparizione. Un giorno uno spettatore riuscì ad avvicinarsi alla giovane che disse: “questa è stata e sarà sempre la mia dimora!”.
Leyla è oggi considerata l’anima del teatro, il fantasma della musica, che appare ogniqualvolta vi sia in corso uno spettacolo, per poi sparire nuovamente nel buio delle catacombe.
Il demone nero di Moneglia
Nel 1396 Monna Benvenuta, moglie del ricco mercante Leonardo Solarolo di Lavagna, fece un grande lascito testamentario ai frati francescani perché fosse eretta una chiesa in onore di San Giorgio. I frati gestirono la chiesa per circa 2 secoli, arricchendola con opere dal gran valore storico e artistico, alcune delle quali ricoperte di oro.Bellissima è la pala d’altare, che però originariamente non raffigurava la mostruosa bestia nera che oggi appare ai piedi di Sant’Antonio e che comparve al parroco e ai fedeli il 7 gennaio del 1950.
La leggenda, infatti, narra che tra il 6 e il 7 gennaio a Moneglia era scoppiata una terribile burrasca, che sembrava volesse spazzare via l’intero abitato e che danneggiò la croce del campanile della Chiesa di San Giorgio. Al posto della croce si posizionò un demone nero, uscito da una saetta sulfurea, che subito scese in strada, seminando rovine e disgrazie. La popolazione percorreva i vicoli della cittadina, con torce, forconi e amuleti, per cercare di mandar via la bestia nera demoniaca, che si rifugiò proprio nella chiesa ai piedi della raffigurazione di Sant’Antonio Abate. Ma, il demone rimase intrappolato nel dipinto, bloccato dal lungo bastone del Santo e oggi è ancora lì, tremante di paura.
Il miracolo della Madonna Bianca
Nel 1204 alcuni abitanti di Porto Venere avvistarono una strana barca che lentamente si avvicinava alla riva, sospinta da un leggero venticello. La barca era solo un tronco d’albero scavato e nessuna persona vi era a bordo. Spinte dalla curiosità, alcune persone scesero a riva e attesero che la barca toccasse terra. A bordo c’era solo un quadretto sul quale era disegnata la Madonna seduta tra due angeli con il Bambino sulle ginocchia. Il quadretto fu portato nella Chiesa. Con il passare del tempo il disegno sbiadì, fino a scomparire quasi del tutto. Fu un gran dolore per tutti gli abitanti. La mattina del 17 agosto 1399 gli abitanti entrarono in Chiesa e videro il quadretto sempre là, ma dipinto a nuovo ed in modo molto bello. Gli autori di questo miracolo erano stati due angeli.