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La Madonnina di terracotta
Basilicata, terra poco conosciuta, ma che racchiude nel suo piccolo territorio un’infinità di meraviglie. Qui, la natura, nelle vesti di una grande artista, ha dipinto paesaggi suggestivi, i cui colori incantano occhi e fanno volare leggera l’anima di ogni visitatore. A rendere ancor più interessante l’intero territorio lucano è la forte tradizione popolare, che con le sue tante leggende, creare un’atmosfera unica.
La Basilicata, infatti, nasconde varie leggende tra cui quella de “la Madonnina di Terracotta”. In una splendida valle della Lucania viveva tempo fa una madre con una figlia e un figlio in una casetta misera sotto una parete di roccia che cadeva ripida sopra un fiume dalle acque vorticose. La madre era paralitica, la figlia Gigia di vent’anni oziava tutto il giorno lagnandosi della propria miseria invece di tessere e occuparsi della madre e dei lavori domestici. Pietro, il fratellino, invece si alzava presto per andare a lavorare.
Pietro, oltre a sostenere la famiglia, portava anche un sorriso e speranza alla sua povera madre. Così le giornate erano tutte uguali e la madre cercava di far lavorare la figlia ma non c’era verso, lei non ne voleva sapere perché tanto “non li avrebbe sollevati dalla miseria”. La madre allora guardava verso una mensola su cui c’era una Madonnina di terracotta, una statuetta bianca e azzurra con le mani giunte e un dolce sorriso di pietà. E la pregava. Una sera Pietro non tornò a casa e Gigia lo cercò per tutta la notte chiamandolo, mentre la madre la implorava di restare a casa con lei a pregare la Madonnina. Quando tornò giorno, Gigia disse alla madre che andava nel bosco a cercare qualcosa da mangiare. La povera donna si sentiva morire e così pregò la Madonnina di farle vedere i suoi figli. La Madonnina d’un tratto apparve, accarezzandola con dolcezza e dandole conforto.
In quel momento da fuori si sentirono dei terribili ululati e la donna pregò la Madonnina di soccorrere i suoi figli, ma la Madonnina la rassicurò dicendole che stavano bene e che avrebbe curato lei. La madre si addormentò e quando si svegliò il giorno era arrivato e con esso anche i suoi due figli. Pietro raccontò che era stato assalito da due lupi ma riuscì a salvarsi, in quel momento vide Gigia e i lupi andare verso casa loro. Videro i lupi davanti all’uscio andarsene all’improvviso. La madre allora gli disse della Madonnina, che nel frattempo si era rimessa su un altro scaffale, e i due fratelli si inginocchiarono davanti alla statua e la ringraziarono per tutto. Gigia promise che avrebbe iniziato a lavorare e a darsi da fare con il telaio, facendo così felice la madre. Loro madre disse che l’avrebbe aiutata anche lei, i due figli allora si girarono e videro la donna, un attimo prima paralitica, muoversi da sola dopo tanto tempo inferma.
La leggenda del fantasma del Castello di Lagopesole: Elena degli Angeli
Si narra che la bellissima Elena degli Angeli, moglie di Manfredi di Svevia, vaga ancora nei dintorni del suggestivo Castello di Lagopesole, assumendo le sembianze di uno spirito irrequieto. Proprio qui, in questo edificio di immenso valore storico, la bella Elena visse i momenti più felici della sua vita. Il suo spirito ancora vaga alla ricerca dei tanto amati figli e dell’adorato marito.
Ma chi è Elena degli Angeli? Il suo vero norme era Elena Ducas, moglie di Manfredi, figlio del grande Federico II di Svevia. Tutta la sua vita fu legata proprio a questo bellissimo castello, il quale si erge in posizione strategica nel territorio della provincia di Potenza. Un castello che, come anticipato, è stato luogo in cui la donna ha trascorso momenti di pura felicità circondata dall’amore dei suoi cari, ma che è stato anche il luogo che ha segnato in modo negativo la sua esistenza. Infatti, Elena fu imprigionata nel suo tanto amato castello, che fu costruito dai saraceni e ampliato successivamente dai normanni, da Carlo d’Angiò. Ripercorrendo la storia, decaduta la dinastia sveva, il castello passo per l’appunto agli angioini.
La leggenda di Elena degli Angeli narra che, quando la luce del sole al tramonto tinge di rosso le torri del castello, è possibile udire uno struggente pianto, che squarcia il silenzio surreale che oggi circonda l’edificio. Non solo, osservando attentamente, è possibile scorgere una strana figura, un’ombra che vaga inconsolabile per le stanze del castello. È il fantasma di Elena.
Nel pianto struggente è racchiusa tutta la disperazione di una donna, che ancora sogna di rivedere il marito e di poterlo riabbracciare quando in cielo c’è la luna piena. Ma, lo spirito del marito non è poi così distante dalla propria amata: infatti, la leggenda vuole che anche lo spirito di Manfredi, morto nella battaglia di Benevento del 1266, si aggiri nelle campagne di Lagopesole, proprio vicino al Castello, con indosso un mantello verde e in groppa ad un elegante cavallo bianco. Entrambi gli spiriti si cercano, ma nessuno sa se i due amanti riusciranno a ricongiungersi, ovvero se son destinati a cercarsi per l’eternità.
Il castello di Valsinni: la leggenda di Isabella Morra
Lasciamo il potentino per partire alla volta della provincia materana, dove è ambientata questa affascinante leggenda. Quando le tenebre scendono e avvolgono le terre della provincia materana, nei pressi del Castello di Valsinni, appare un misterioso fantasma. Il castello si erge maestoso sulla bellissima valle del fiume Sinni e neanche le sue spesse mura riescono a contenere il lamento di Isabella Morra, una fanciulla, una poetessa, morta a soli 26 anni.
Una vita davvero breve, ma che ha segnato profondamente la storia di questo affascinante feudo, un tempo conosciuto come Favale, oggi come Valsinni, appartenuto alla potente famiglia Morra. La situazione della famiglia di Isabella non era delle migliori: il padre, il barone Giovanni Michele Morra fu costretto all’esilio, mentre la moglie rimase nel castello, dove a farle compagnia vi era la giovanissima Isabella (all’epoca dei fatti aveva solo 8 anni). Le condizioni della madre non erano delle migliori: pare che soffrisse di pesanti crisi di nervi. Isabella, infelice e inquieta, superò l’isolamento grazie ad un canonico, Torquato, suo precettore. All’età di 23 anni, la fanciulla conobbe il cavaliere e poeta Diego Sandoval De Castro, di origine spagnola e nemico della famiglia Morra.
Ma, le rivalità delle due famiglie non interessavano ai due giovani, che iniziarono una fitta corrispondenza letteraria. Questa loro relazione, che nessuno ha mai capito se limitata al solo scambio di dolci lettere, giunse all’orecchio dei fratelli di Isabella, che decisero di vendicarsi. La vendetta non risparmiò neanche Torquato, accusato di consegnare le lettere alla giovane Isabella e al cavaliere spagnolo. Sia Isabella, che Diego Sandoval furono poi pugnalati.
La tragica morte della giovane poetessa Isabella, interessò nel 1928 il filosofo Benedetto Croce, che si diresse direttamente in Basilicata per approfondire l’intera vicenda. In seguito, furono portati avanti anche degli scavi, per cercare il copro della giovane, ma non portarono al risultato sperato. Ancora oggi, infatti, non si conosce l’ubicazione precisa dove il corpo di Isabella Morra è stato seppellito. In molti sono convinti, che alla giovane dona non è stata concessa neanche una degna sepoltura, ecco perché il suo fantasma vaga ancora oggi per le stanze del castello, per spingersi di notte anche al di fuori delle mura.
La leggenda di “Palazzo Ammicc”
La leggenda narra di una ricca famiglia che abitava in un elegante e grande palazzo situato nel cuore di Bernalda. Il palazzo era abitato anche da altre famiglie, le quali si occupavano di coltivare i terreni del proprietario dell’edificio, il quale in cambio li ospitava negli appartamenti del suo grande palazzo.
Prima di morire, il proprietario nascose tutto il suo oro, un vero e proprio tesoro, in un posto segreto dello stesso palazzo. La leggenda narra che per avere, o meglio trovare questo grande tesoro, era necessario uccidere un bambino non ancora battezzato. Un giorno, una zingara, la quale era venuta a conoscenza della presenza del tesoro, si intrufolò nel palazzo, con la scusa di pettinare la ricca signora (l’unica benestante del palazzo). Non avendo modo di trovare il tesoro, la zingara rapì la figlia più piccola della ricca signora e mai più si ebbero sue notizie.
Dopo molti anni, nei pressi di Bernalda si accamparono degli zingari e tra essi, ormai donna, vi era la figlia della ricca signora. Le campane del paese cominciarono a suonare a lutto e la ragazza chiese per chi stessero suonando. Gli zingari le dissero la verità: la ricca signora, cioè sua madre era morta. La ragazza spinta dalla curiosità si spinse fin dentro il paese, per avere maggiori informazioni in merito alla donna morta (ancora non sapeva che si trattava della madre). Nessuno in paese riconobbe la ragazza, la quale avvicinatasi alla bara sussurrò in dialetto queste parole: “signora mia, tu eri il tralcio ed io l’uva, di denaro ne avevi senza misura, ma non hai saputo indovinare la mia ventura”. Udite queste parole, i fratelli capirono che si trattava della sorellina rapita tantissimi anni fa e la supplicarono di restare con loro, ma ella decise di tornare con gli zingari. Uno dei fratelli, sentitosi tradito e accecato dalla rabbia, la sparò alle spalle nel momento in cui la ragazza si stava allontanando. Questo per liberarla dagli zingari che l’avevano rapita.
Oggi a Palazzo Ammicc c’è una finestra murata che si affaccia sulla valle e la leggenda dice che lo spirito della signora è dietro questa finestra murata, in attesa del ritorno della figlia.
Il monachicchio
In tutta la Basilicata regna la leggenda delle leggende, quella del “monachicchio” (nome che cambia a seconda dei diversi dialetti presenti in tutto il territorio lucano). Secondo la tradizione popolare, tale leggenda ha per protagonista lo spirito di un bambino morto prima di ricevere il battesimo. Uno spiritello che ama giocare, divertirsi e mai cattivo con le persone. Si presenta come uno spiritello d’aspetto gentile, con un visino delicato e con in testa un berrettino di colore rosso. Era solito, anzi, è solito apparire ad altri bambini come lui, con i quali ama giocare e divertirsi in modo spensierato. Il gioco che il monachicchio proponeva ad ogni bambino prevedeva il rincorrersi e al bambino che riusciva a strappargli via il cappello (il cuppulicchio) spettava un bellissimo premio: poteva raccogliere le tantissime monete d’oro che dal suo cappello cadevano in terra, con un particolarissimo tintinnio.
Uno spiritello che si differenzia da tutti gli altri, i quali nella maggior parte dei casi non fanno altro che spaventare la gente e apparire in luoghi isolati e durante la notte. Infatti, il monachicchio si manifesta nelle ore diurne, proprio perché non ha alcuna intenzione di intimorire nessuno, ma desidera solo giocare con altri bambini. Attira l’attenzione dei più piccini togliendo le coperte dal loro letto, facendo loro il solletico ai piedi, ovvero sussurrando delle dolci parole alle fanciulle. Insomma, un vero e proprio giocherellone.
Anche se il monachicchio è solito presentarsi di giorno o al massimo all’alba, la tradizione popolare lo descrive anche come un amante degli scherzi notturni, i quali però erano indirizzati indirettamente alle persone più grandi. Durante la notte, per non disturbare i bambini che dormono, è solito annodare i peli della coda degli asini o della criniera dei cavalli, facendosi trovare sotto la pancia degli animali, dai contadini. Perché tutto questo? Semplicemente per ridere a crepapelle quando i poveri contadini, al mattino, son costretti a perdere delle ore per sciogliere i nodi fatti da dispettoso spiritello, per poi sparire nella sua grotta piena di monete d’oro, quando gli stessi nodi vengono sciolti.
Una leggenda che ritroviamo anche nelle pagine del libro Cristo si è fermato ad Eboli, in cui Carlo Levi descrive il monachicchio con le seguenti parole: “…esseri piccolissimi, allegri, aerei, corrono qua e là, e il loro maggiore piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto i piedi…danno pizzicotti … e fischiano come zanzare. Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre l’aspetto di un gioco… il solo modo di difendersi dai loro scherzi è appunto di cercargli di afferrarli per il cappuccio… appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e salti di gioia…”
non mi interessano categoricamente perché sono noiose e senza avventura o paura
queste leggende sono meravigliose e ringrazio di cuore chi ha deciso di renderle pubbliche per ampliare le nostre conoscenza
Ti ringrazio, è proprio quello che stavo cercando. Sono della Basilicata, ma ho tante cose ancora daconoscere e da imparare da questa terra!