Il Veneto e le sue leggende

Il Veneto, regione italiana che si trova nella parte Nord-Est del nostro Stivale, è un territorio davvero incantevole, tutto da scoprire, tra paesaggi mozzafiato, storia e tante leggende. Il suo territorio comprende una zona litoranea bagnata dal Mar Adriatico, una zona piana, le Prealpi Venete comprendenti il Monte Baldo, i Monti Lessini, l’Altopiano di Asiago e il Monte Grappa. Altre zone Venete sono le Dolomiti Orientali e le Alpi Carniche. Ospita il lago di Garda e il fiume Po. In pratica, una regione che si presenta come decisamente ricca di paesaggi che dalla pianura e dalle zone lacustri, passano alle alte vette di maestosi monti.

Lo specchio di Misurina

La leggenda in assoluto più bella della regione è “lo specchio di Misurina”. C’era una volta un papà (Sorapis) e una bambina (Misurina): il papà era un gigante mentre la bimba era davvero piccola piccola. Il papà, grande di statura, era molto buono ed era una vittima della figlia: lui troppo buono con lei e lei ne approfittava diventando sempre più stizzosa e insolente.

Al castello tutti la evitavano e il papà non sapeva cosa fare. Misurina era una bambina molto curiosa, voleva sapere e vedere tutto. Un giorno la nutrice le disse che esisteva lo specchio “tuttosò”, dove chi si specchia sa immediatamente tutto ciò che vuole.

La piccola lo chiese al papà ma lui le rispose che lo specchio apparteneva alla Fata del Monte Cristallo così, dopo tanto piangere della figlia, lui si mise in cammino per andare a prenderlo.

Disse tutto alla Fata che conosceva di fama Misurina. In cambio dello specchio, la Fata chiese al gigante di diventare una montagna che la proteggesse dal sole.

Lui accettò, la fata prese lo specchio, ma poi vide la sua faccia e gli disse di dire tutto alla figlia: “se lei accetta di farti diventare una montagna per lo specchio allora lo diventerai, altrimenti mi dovrai riportare lo specchio.”

La figlia accettò e prese lo specchio, ma quando il padre si trasformò in montagna (quella che adesso sta di fronte il Monte Cristallo) la bambina, disperata, si lanciò dalla sua vetta.

Il padre iniziò a piangere così tanto da formare il lago ai piedi della montagna.

La leggenda dell’Arena di Verona

Altra leggenda molto bella è quella dell’Arena di Verona. Un tempo a Verona viveva un signore ricchissimo che, per aver commesso un grave delitto, fu condannato a morte.

Lui cercò di aver salva la vita in cambio dei suoi beni, ma non ci riuscì e così le guardie gli proposero di costruire un edificio enorme in una notte, in cambio della vita. I soldi bastavano, ma il tempo no. Allora strinse un patto con il diavolo: il diavolo costruiva l’edificio e lui gli donava la sua anima.

Il demonio lavorò senza tregua, ma quando l’opera fu quasi terminata scoccò l’ora del mattino e alcuni massi rimasero là, quasi sospesi in aria.

Il diavolo spaventato dal suono delle campane, fuggì per tornare all’inferno. Ma l’arena stette là, le autorità ne rimasero contente e il ricco signore fu salvo.

In verità l’Arena fu costruita dai Romani e parzialmente distrutta durante le invasioni barbariche.

L’arena è il più celebre monumento veronese, conosciuto in tutto il mondo. Costruita nel I sec. d.C. negli ultimi anni di regno dell’imperatore Augusto, deve il suo nome alla sabbia che copriva l’interno della platea, nella quale si svolgevano i giochi e i combattimenti dei romani. Ai tempi dei romani poteva ospitare ben 30.000 persone, un numero che a quell’epoca rappresentava la totalità degli abitanti di Verona.

La meravigliosa Arena di Verona è il terzo anfiteatro al mondo per grandezza, dopo il Colosseo di Roma e l’anfiteatro di Capua, vicino a Napoli.

La leggenda della mantella rossa di Montagnara

Un’affascinante leggenda che ci riporta in un tempo molto lontano, in una società fatta di dame e coraggiosi cavalieri, tra armi e giochi d’astuzia.

La leggenda narra che durante il gran mercato di Montagnara, che si teneva sempre nel periodo invernale, giunse un gran numero di cavalieri, i quali portarono una notizia che allarmò tutti i presenti: un esercito di soldati veronesi si stava avvicinando minaccioso alla città.

Lanciato l’allarme, il Podestà e il Capitano della Guardia cominciarono a studiare un preciso piano per difendere la città. Tutti dovevano essere pronti: balestrieri, sentinelle, soldati dietro le mura e ogni singolo abitante pronto a portare a termine la mansione affidatagli.

La città era in fermento, impaurita, ma pronta a fronteggiare il nemico. Tutto sembrava esser perfetto, ma a preoccupare chi si stava occupando della strategia difensiva era l’esiguo numero di gente armata.

Così, si decise di chiedere aiuto ai signori Da Carrara di Padova e furono inviati dei messi per chiarire tutta la situazione. Il tempo per prepararsi era sempre di meno e il timore degli abitanti di Montagnara cresceva sempre di più. Si decise, allora, data la vicinanza dell’esercito veronese, di cucire tantissimi panni rossi, in modo tale da creare delle mantelle, le quali furono adagiate su fantocci posizionati tutt’attorno la città.

Era un semplice trucchetto per trarre in inganno i nemici, per farli spaventare dinanzi al grande esercito (seppur di fantocci) che dovevano affrontare.

Non solo: tutti gli abitanti, anche vecchi, donne e bambini indossarono le rosse mantelle. Così, il mattino seguente, quando i veri cavalieri si lanciarono contro l’esercito veronese, gli abitanti (finti militari) si appostarono subito dopo le mura cittadine, tra le porte di ingresso. Tutto questo solo per intimorire gli avversari con un gran numero di gente in armi. Ovunque lo sguardo si posava scorgeva delle rosse mantelle.

Lo stratagemma, decisamente azzardato, funzionò: il nemico, intimorito dal numero degli avversari ripiegò per pianificare una nuova strategia di attacco. Non passò molto e i veronesi si accorsero dell’inganno e decisero, quindi, di attaccare la città. Ma, nel frattempo l’esercito padovano era giunto a Montagnara e riuscì a scacciare gli assalitori, i quali furono inseguiti fin sotto le porte di Verona.

La città fu salva e per sei giorni e sei notti si fece gran festa. Ogni anno, con una caratteristica sfilata di rosse mantelle, si ricorda tale evento.

Le streghe del Bus de la Lum

Streghe? Chi ha paura delle streghe?

Gli antichi abitanti del Pian del Cansiglio hanno da sempre temuto il Bus de la Lum (buco della luce), che altro non era che una profonda voragine naturale, che si trova in bosco in prossimità di Belluno.

La leggenda narra che tale voragine fosse abitata da malvagie streghe, le Arduane, che avevano un aspetto a dir poco inquietante: chiodi arrugginiti ai posti dei capelli e lunghe zanne affilate al posto dei denti. Le streghe del Bus de la Lum erano solite uscire dalla loro dimora, dalla voragine, per raccogliere legna, bacche e funghi, ovvero per scendere fin giù nei pressi del Lago di Santa Croce a lavare e stendere i loro vecchi vestiti.

Quindi, non facevano nulla di male? Non proprio. Infatti, ogni bambino che incontravano sul loro cammino veniva rapito, portato nel Bus de la Lum e ucciso. I bambini erano il pasto preferito da queste malvagie streghe.

Ma, perché si chiama Bus de la Lum? I pastori erano soliti vedere una luce provenire dalla profondità della voragine, derivante dal fuoco che le streghe erano solite accendere quando erano tutte insieme. Durante le più calde notti d’estate era possibile scorgere delle fiammelle uscire dalla voragine.

Trattasi però di fiammelle prodotte dai gas generati dalla putrefazione delle carogne delle bestie malate che venivano gettate nella voragine. Una voragine tristemente ricordata anche nelle vicende della Seconda Guerra Mondiale: fu tristemente utilizzata anche come foiba.

Una voragine che è stata sempre al centro di tantissime altre leggende, tutte incentrate sulla presenza di strane creature. Anticamente fu considerata una specie di accesso diretto alle oscure profondità della terra, attraverso la quale uscivano energie sotterranee e potenti. Dunque un luogo di evocazione per far fuggire spiriti maligni e invocare la protezione delle divinità benefiche.

Attorno al grande occhio di tenebra sono stati infatti trovati molti segni di quelle antiche presenze.

Rovigo, tra rose e fantasmi

Rovigo è anche conosciuta come la città delle rose. Infatti, secondo una leggenda il nome di Rovigo deriverebbe da Rhodon, ovvero dalle rose che in questi luoghi fiorivano spontaneamente nell’antichità. Un qualcosa che ritroviamo anche in alcune testimonianze scritte: Ludovico Ariosto nel parlare di Rovigo la definì “la terra in cui produr di rose / le dié piacevol nome in greche voci”.

Inoltre, si ritiene che la colonizzazione del Polesine si debba proprio ai greci: fu infatti Diomede, compagno di Ulisse nella guerra di Troia, con i suoi coraggiosi compagni, a mettere per primo piede ad Adria, che in tempi antichi si trovava sul mare.

Poco prima del 1000 il vescovo Paolo Cattaneo decise di trasferire la sede vescovile a Rovigo. Perché proprio Rovigo? Una notte il vescovo vide in sogno San Pietro, il quale gli offriva un bellissimo pastorale completamente fiorito di rose rosse. Il vescovo capì che era proprio Rovigo la meta della peregrinazione. Cattaneo trasferì lì il suo popolo e fece costruire un imponente castello per difendersi dai barbari. Oggi di quelle vestigia rimane solo una torre, la Torre Donà, ancora ammirabile in città.

Ma, a Rovigo, un antico palazzo del centro storico, si dice che sia abitato da fantasmi, che ancora oggi appaiono di tanto in tanto. Infatti, da una finestrella che si apre sulla porta della cantina, appare il volto di una suora, ben definito e visibile anche a notevoli distanze. La leggenda narra che tale suora, tantissimi anni or sono, si lasciò morire proprio in quella stanzetta del palazzo, all’interno della quale si era fatta letteralmente rinchiudere.

Invece, un altro mistero avvolge il cimitero di Rovigo, dove sul ghiaino appariva, in un punto ben preciso (forse, ormai cancellato dal tempo) una scritta incomprensibile, che un uomo, prima di morire, impresse con le sue stesse mani. L’uomo aveva deciso di trascorrere una notte nello stesso cimitero, ma il mattino seguente fu ritrovato morto. Non si sa bene cosa sia successo allo stesso, ma una cosa è certa: la paura fu davvero tanta, poiché fu ritrovato con gli occhi spalancati e sbarrati. Prima di morire provò a scrivere quello che potrebbe essere un grande segreto proprio sul ghiaino, ma non riuscì, forse per il dolore, ovvero per lo stesso spavento, a scrivere in modo leggibile.

Il pescatore e la sirena: la leggenda di Melusina

La leggenda del pescatore e della sirena narra di un giovane, Orio, che viveva alla Bragora. Un ragazzo umile, che viveva di pesca e che non si aspettava mai e poi mai di tirare su, proprio con le sue reti una creatura tanto strana quanto affascinante. Infatti, durante una notte di pesca come tante altre, il giovane pescatore catturò con le sue reti una sirena, Melusina. Appena la vide se ne innamorò perdutamente. Fu amore a prima vista anche per la sirena, che negli occhi del giovane ragazzo aveva subito visto la luce della più viva sincerità.

I due, così, sulle ali di un amore appena nato cominciarono ad incontrarsi di notte, sulla spiaggia di Malamocco. Dopo diversi incontri, il giovane Orio decise di chiedere alla sua amante di sposarlo. Lei, in lacrime di gioia, disse di sì, pronta a rinunciare al mare e ad acquistare un paio di gambe al posto della sua lunga coda da sirena. L’unico vincolo era che il sabato, fino al giorno delle nozze, lui non si facesse vedere.

Ma, la voglia e la tentazione di vedere la propria amata era troppo forte e il giovane pescatore decise di recarsi alla spiaggia degli appuntamenti anche di sabato. Una volta giunto a destinazione non trovò nessuno. Improvvisamente una grande serpe di mare spuntò tra gli scogli dove si era seduto Orio. Impaurito cominciò a scappare ma una voce lo fece fermare di colpo: era Melusina, che spiegò al giovane di essere vittima di un maleficio, che però poteva essere interrotto con il matrimonio. Ecco perché aveva detto al giovane amato di non recarsi lì di sabato.

Il giovane si tranquillizzò e si convinse ancor di più di sposare Melusina, anche per liberarla dal tremendo maleficio. I due si sposarono e nel corso della loro vita di coppia, felice e serena, ebbero tre bambini. Ma, un brutto giorno Melusina si ammalò e morì poco dopo. Il suo ultimo desiderio fu quello di essere seppellita nel punto esatto dove il giovane pescatore la conobbe, tirandola sulla sua imbarcazione con le reti. Così fece.

Dopo la morte della cara amata, cominciarono a succedere cose strane: in casa tutto veniva pulito e i bambini erano sempre in ordine, senza che Orio facesse niente. Infatti, il giovane subito pensò che qualcuno, di nascosto, entrasse in case per fare tutto. Un sabato, rientrato improvvisamente in casa, trovò un grande serpente in cucina: senza pensarci due volte prese l’accetta per la legna e gli mozzò il capo. Da quel momento, casa e figli rimasero di colpo trascurati. Capì che si trattava di Melusina. La disperazione avvolse l’uomo. A ricordo di questa storia, un cuore di pietra è stato posto dove in origine sorgeva la casa di Orio e Melusina.

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