La leggenda dell’Innamorata

Una delle più belle leggende toscane, che anima la ricca tradizione popolare di questa splendida terra, è la leggenda dell’Innamorata.

Ci troviamo a Capoliveri e i protagonisti di questa bellissima storia sono due giovani innamorati, Maria e Lorenzo.

A questa leggenda è legata anche una tradizionale fiaccolata, che ancora oggi illumina la bellissima spiaggia Cala. Correva l’anno 1534 e le coste dell’Elba erano razziate dal pirata barbarossa e dal suo spietato esercito di saraceni.

Tutto questo non interessava ai due giovani innamorati, Lorenzo e Maria, che desideravano solo vivere la loro grande storia d’amore. Ma, come spesso accade, un amore così grande è quasi sempre ostacolato da eventi o persone, che proprio non riescono a chinarsi dinanzi all’amore di due giovani. Infatti, la ricca famiglia del ragazzo non aveva accettato la relazione tra Lorenzo e la povera Maria, che discendeva da una famiglia umile, che mai aveva visto ricchezza.

Il loro amore traeva la forza dal mare: i due si erano conosciuti e subito innamorati proprio sulla spiaggia battuta dai marosi. Una spiaggia che divenne il loro rifugio d’amore, dove i due erano soliti incontrarsi e scambiarsi reciprocamente tenerezze al cospetto del grande mare. Proprio lì, Lorenzo chiese a Maria di sposarlo.

Era il 14 luglio e Lorenzo giunse in anticipo al solito luogo d’incontro. Maria, arrivando dall’alto del sentiero, cercava con lo sguardo il suo amato, per correre tra le sue braccia, ma quello che vide fu una ciurmaglia di uomini sbarcare da una scialuppa.

Gli uomini aggredirono Lorenzo e lo fecero prigioniero, sotto gli occhi di una impotente Maria, che cominciò a correre per raggiungerlo. Ma, gli uomini ripresero subito la via del mare e allontanandosi dalla spiaggia gettarono tra le onde un corpo agonizzante.

Era Lorenzo. Riconoscendo in quel corpo il suo amante, Maria si lasciò cadere in mare, in un ultimo disperato impeto d’amore. Fu ritrovato solo il suo scialle impigliato su uno scoglio che da allora venne chiamato “Ciarpa”.

La fiaccolata dell’Innamorata

Come detto in precedenza, a questa triste storia d’amore è collegata una tradizione, quella della fiaccolata dell’Innamorata, che si fa risalire alla seconda metà del XVII secolo, per volere di un certo Domingo Cardenas, nobile spagnolo che, costretto all’esilio dal padre si stabilì proprio in quelle terre, in prossimità della spiaggia prima conosciuta con il nome di Cala de lo fero.

Una sera di luglio a Domingo apparve Maria. Un’ombra leggiadra e soave, un grido che sovrastava il rumore delle onde. Subito il nobiluomo capì che si trattava proprio di Maria, la giovane che perse la vita in mare, protagonista della storia che alcuni pescatori gli avevano raccontato. Sconvolto da quella visione, Domingo promise a sé stesso che, negli anni a venire, per permettere a Maria di ritrovare il suo Lorenzo, avrebbe acceso 1000 torce, in modo tale da illuminare a giorno la spiaggia.

Così nacque la tradizionale fiaccolata dell’innamorata. Ogni 14 luglio si rinnova la promessa fatta da Domingo Cardenas: la spiaggia risplende di mille torce e un corteo di persone in costume sfila per terra e per mare alla ricerca dei due giovani amanti.

Le fiaccole che illuminano la spiaggia: tradizione e folklore

Il mistero della spada nella roccia: la leggenda di San Galgano

A circa 40 Km da Siena si trova una meravigliosa abbazia cistercense, ormai sconsacrata e recante i segni del passare del tempo. Ma, intatto è il suo misterioso fascino. Circa 50m più in alto, sulla collina di Montesiepi, è ubicata una piccola cappella di forma circolare, al cui interno è custodita una delle reliquie più affascinanti e, allo stesso tempo, misteriosa di tutta la regione.

Che cos’è? La spada nella roccia di San Galgano. Una spada cruciforme, forgiata nel 1170, incastrata in uno sperone di roccia che occupa proprio il centro della piccola cappella.

Il mistero avvolge l’intera cappella, che mostra sulle pareti interne alcuni affreschi del ‘300, che ricchi di particolari, rendono il tutto ancor più suggestivo, incredibile.

Il richiamo è ben evidente: il ciclo bretone di Re Artù fa pensare ad un qualcosa non casuale, ma di molto preciso. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Galgano era un giovane cavaliere nato nel 1147 a pochi chilometri dalla bellissima cittadina di Siena.

La leggenda narra che una notte apparve al giovane l’Arcangelo Michele che lo condusse, per uno stretto ed impervio sentiero, proprio sulla collina Montesiepi. Ad attenderli c’erano i dodici Apostoli di fronte ad un tempio di forma rotonda.

Per Galgano questo fu un chiaro segno divino e proprio su quella collina si ritirò per condurre una vita da eremita. Abbandonò l’armatura e infisse la sua spada in una roccia, in modo tale da creare una perfetta figura di una croce. La spada è ancora lì, da più di 800 anni, simbolo di una grande conversione.

La spada di San Galgano

Molti studiosi ipotizzano che la leggenda di Re Artù sia nata a seguito dell’esportazione di questa storia dalle terre toscane.

A dare forza a questa ipotesi è sia l’abbazia cistercense, che la cappella dedicata a Galgano, che sono coeve alla scoperta della tomba di Re Artù a Glastonbury. I cistercensi furono i propagatori più accaniti della leggenda arturiana: resta ancora da capire bene se il gesto di Galgano abbia emulato Artù o viceversa.

Il mistero rimane e al Museo Nazionale di Pisa sono esposti alcuni dipinti del ‘400, realizzati dal pittore senese Taddeo di Bartolo, i quali riprendono scene della vita di San Galgano.

La leggenda della spada nella roccia potrebbe essere tutta italiana.

La leggenda del Fantasma di Monteriggioni

Ci troviamo a Monteriggioni, un tempo sicuro baluardo per i senesi, fondato come avamposto nel 1200.

Tra Siena e Firenze i rapporti non erano dei migliori, così si pensò di costruire delle mura possenti e delle grandi carbonaie che venivano incendiate quando i nemici si avvicinavano. Monteriggioni, quindi, era un luogo di assoluta sicurezza per i senesi, nonché una struttura militare decisamente all’avanguardia. Era considerata come inespugnabile ed etichettata come la porta d’ingresso degli inferi.

L’inespugnabile Monteriggioni

Mai i fiorentini riuscirono a penetrare tale fortezza con il solo utilizzo delle armi, ma solo con inganno e furbizia, unite in un mix vincente. Riuscirono a corrompere il capitano senese Giovanni Zeti che, tradendo il proprio esercito, aprì una breccia nel sistema difensivo permettendo ai fiorentini di entrare.

Fu la fine per Monteriggioni, che venne espugnata, saccheggiata e soldati ed abitanti vennero presi prigionieri. Siena dovette arrendersi all’egemonia fiorentina.

Un tradimento clamoroso, che lo stesso Dante cita all’interno della sua gloriosa ed immortale opera, con precisione nell’inferno. Una leggenda narra che nelle notti di luna piena è possibile udire lo scalpitio dei cavalli e lamenti innaturali che mettono letteralmente i brividi.

È lo spirito del Capitano Zeti, che per il grande tradimento arrecato al suo popolo ancora oggi non riesce a trovare pace per il rimorso e vaga per il borgo.

Quercia delle Streghe o albero di Pinocchio?

Nella frazione di San Martino in Colle si trova un albero dalle dimensioni surreali, il quale sembra nutrirsi di una linfa speciale, che deriva da due leggende che lo vedono come protagonista.

La prima leggenda legata alla quercia delle streghe narra che questo maestoso albero fosse il punto di incontro delle streghe che abitano i luoghi vicini (quasi come la leggenda delle streghe di Benevento).

Sotto questa grande quercia le streghe erano solite fare i loro rituali, ovvero danzare sui suoi robusti e lunghi rami. Infatti, proprio perché le streghe ci hanno danzato sopra (e forse continuano a farlo) la quercia presenta una forma schiacciata e allungata, con i rami che si sono sviluppati orizzontalmente, anziché in verticale.

La seconda leggenda ricollega questa spettacolare quercia alla favola di Pinocchio. Infatti, rappresenterebbe la pianta descritta nel racconto ove Pinocchio avrebbe sepolto i suoi denari, incoraggiato dal Gatto e la Volpe, durante il cammino verso il Paese dei Balocchi.

Secondo Collodi, probabilmente, il Paese dei Balocchi sarebbe stata una rappresentazione del settembre Lucchese (mese in cui la zona è oggetto di fiere, incontri e iniziative). Se così fosse la grande quercia si troverebbe proprio lungo la strada che collega il paese di Collodi a Lucca.

 I misteri del sottosuolo senese

Dante nella Divina Commedia afferma che sotto la città di Siena scorre Diana, un mitico fiume di cui mai è stata trovata traccia. In realtà, al posto del fiume si trovano i Bottini: una rete di oltre 25 chilometri di cunicoli scavati nel tufo.

Si tratta di un antico acquedotto, attorno al quale circolano numerose leggende.

I Bottini: i misteriosi cunicoli del sottosuolo senese

Una delle tante narra che durante i lavori di costruzione dei Bottini molti operai scappavano da quegli stretti cunicoli, spaventati a morte da strane creature, che abitavano proprio le profondità della Terra.

I Guerchi (era questo il nome con cui venivano identificati gli operai addetti alla costruzione dei cunicoli) hanno affermato, secondo diverse testimonianze tramandate nei secoli, di aver visto degli uomini di piccola statura e molto strani, molto simili a folletti.

I Fuggisoli, così furono chiamati questi strani folletti che abitavano il sottosuolo della Città del Palio, apparivano all’improvviso in campi di luce.

Sulle pareti degli stretti cunicoli sono state rinvenute statuette in terracotta (murate) della Madonna e diverse croci impresse sulle pareti con i picconi, proprio per chiedere un aiuto divino e protezione da questi strani esseri.

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