I Principali Argomenti
Ecco alcune famose leggende lombarde
La serpe di Chiavenna
Chiavenna è una città ricca di fascino e attorno alla quale è ampio lo scuro alone del mistero. Sono tantissime le leggende che si tramandano di generazione in generazione e che mantengono sempre viva la tradizione popolare.
Tra le tante, la leggenda della serpe di Chiavenna è, forse, quella più conosciuta. Su diversi portoni di moltissime dimore si trova non il classico battente, ma una particolare raffigurazione: una serpe in ferro battuto.
È normale collegare questo animale al male, ma questa volta è necessario fare un passo indietro e prendere tutt’altra direzione. Infatti, la serpe, raffigurata sui battenti di molte abitazioni ha un significato positivo, di protezione per coloro i quali occupano quella specifica dimora.
La leggenda narra che un tempo lontano gli abitanti di Chiavenna furono assaliti da insetti e moscerini, in quella che può essere tranquillamente definita come una gigantesca invasione, disastrosa per l’agricoltura e per la salute.
Sembrava un vero e proprio flagello biblico senza soluzione alcuna. Disperati i Chiavennaschi chiesero aiuto ad un mago che abitava molto vicino alla città. Un mago che aveva la fama di potente operatore di sortilegi e magie.
Esasperati dall’azione distruttiva dei milioni di insetti che stavano letteralmente mandando in frantumi l’economia della città, esposero la vicenda al mago che rispose in modo enigmatico: “avete visto una serpe bianca?”.
Non aggiunse altro, lasciando increduli coloro i quali si erano presentati al suo cospetto, che risposero: “di serpi ne abbiamo viste, ma bianche mai!”. Il mago non si pronunciò e invitò i presenti a lasciare la sua dimora, i quali pensarono che non volesse aiutarli.
Ma, il mago si diresse, poco tempo dopo nella città, tra lo stupore generale di chi non si aspettava proprio una sua visita. Il mago chiamò tutti attorno a sé: “preparate un grande falò!”, esclamò a gran voce. Così fecero e una volta pronto fu lo stesso mago ad appiccare il fuoco, che illuminò la notte di Chiavenna. Il mago estrasse dal suo mantello uno strumento magico e cominciò a suonarlo dolcemente.
Il mago suonava e tra le fiamme sembrava che uno strano essere stesse prendendo forma: era una grande serpe bianca. Il misterioso animale, guizzando fra le fiamme, attirò tutti gli insetti ed i moscerini che avevano infestato la zona.
Tutti, proprio tutti, furono così inghiottiti dalle fiamme e sparirono, per sempre. Felici, ma increduli gli abitanti di Chiavenna rimasero impietriti. Le fiamme diventavano sempre più alte, tanto da arrivare al mago ed inghiottirlo. Il mago e la serpe bruciarono in un immenso e accecante fuoco.
Poi, il fuoco cominciò a spegnersi lentamente e lo stupore iniziale degli abitanti della cittadina ormai liberata dai temibili insetti si trasformò quasi in paura.
Cosa era successo? Da dove era arrivata quella grande serpe bianca?
I dubbi erano tanti e la popolazione si divise: da un lato, coloro che vedevano la serpe come il simbolo della grande potenza magica del mago; dall’altro, tutti quelli che la considerarono come una forza magica che aveva punito il mago, poiché secondo questi aveva intenzione di impadronirsi della città (secondo questi ultimi era stato lo stesso mago a far scatenare l’invasione di insetti, che nulla aveva di naturale).
Insomma, i dubbi erano accesi più che mai, ma una cosa era certa: la città era libera. Però, in entrambi i casi la serpe bianca venne comunque vista come una grande forza protettiva (vuoi contro gli insetti, vuoi contro i malefici del mago): ecco perché venne posta come simbolo sui portoni di tantissimi palazzi e case della città.
Il fantasma di Carlina
La leggenda narra di una sposa in nero di Milano, solita nascondersi tra la folla di amici e parenti degli sposi, i quali distratti dal suono delle campane e dalla cerimonia religiosa, non sempre riescono a vederla.
Ma, la figura del fantasma di Carlina non sempre è sfuggita agli obiettivi dei fotografi. Molte coppie di sposi milanesi, con gran stupore, guardano e riguardano le foto del loro matrimonio e il fantasma di Carlina sta lì, tra gli invitati, con il suo lungo abito nero e gli occhi di ghiaccio dallo sguardo profondo.
È il Duomo di Milano la location di questa storia di fantasmi, di questa leggenda che continua a far venire i brividi alle giovani coppie che qui si son sposate e a quelle che ancora devono farlo. Carlina, o meglio, il suo fantasma, ha degli occhi che emanano una intensa luce e che quasi riescono ad ipnotizzare chi la guarda.
Chi è Carlina?
Una giovane donna vittima del rimorso, morta prematuramente dopo una complicata vicenda sentimentale tanto tempo fa. In epoca feudale, per le spose di Schignano (Como), era usanza vestire con lunghi abiti di seta nera e indossare un velo, sempre di colore nero, che copriva viso e capelli.
Un vestito che proprio non ha nulla a che vedere con i bianchi e ben visibili abiti nuziali indossati dalle donne oggi, o anche in passato, ma in luoghi diversi. Ci si vestiva di nero, come se si dovesse andare ad un funerale, per sfuggire alla barbara usanza che concedeva al feudatario locale di esercitare lo “ius primae noctis”.
Era una fredda giornata di autunno quando Carlina e Renzino, il suo novello sposo, si recarono a Milano per il viaggio di nozze.
Giunti in Piazza Duomo scesero dalla carrozza e si avviarono verso la cattedrale, avvolta da una fitta nebbia. I giovani decisero di salire in cima al duomo per visitare la Madonnina che dall’alto domina Milano. Ma, la fitta nebbia avvolgendo i draghi e le altre sculture che raffiguravano strani mostri, aveva donato loro una nuova identità: incutevano paura. Fu durante la salita che la coscienza di Carlina ricevette uno scossone.
Infatti, la giovane nascondeva un grande segreto: portava in grembo le conseguenze di un tradimento con uno straniero. Giunti così ai piedi della guglia Carelli, Carlina, terrorizzata dall’atmosfera spettrale di quelle figure marmoree dagli sguardi torvi, lasciò la mano dello sposo e fuggì, urlando tutta la sua angoscia, tra le statue e i doccioni.
Renzino la seguì, per calmarla, ma ad un tratto vide il suo corpo librarsi nel vuoto. Poi, Carlina scomparve nel nulla. Non si è mai fatta chiarezza sulla vicenda e non si sa, quindi, se si sia trattato di un incidente o di un suicido. Del corpo della donna non fu mai ritrovata alcuna traccia, ma la sua anima è viva e continua a vagare.
Oggi compare all’improvviso alle spose milanesi, vestita tutta di nero e con lo sguardo forse di chi chiede perdono. Un fantasma che appare e supplica con lo sguardo, ma che mai disturba la cerimonia. A testimoniare la sua presenza sono stati numerosi fotografi di nozze, che l’hanno immortalata fuori dal Duomo o sul sagrato. Una sagoma scura, ben definita, con occhi bianchi e uno sguardo molto intenso.
Forse, appare per augurare tanta felicità agli sposi? Alla fine, un matrimonio sereno e felice è quello che la stessa Carlina desiderava.
La colonna del diavolo
Alla sinistra della Basilica di S. Ambrogio è ubicata una colonna molto particolare: una colonna di epoca romana conosciuta come colonna del diavolo. Sulla stessa sono ben visibili due fori, che secondo la leggenda sarebbero stati fatti dal diavolo, il quale diede una testata alla colonna.
Si narra che una mattina Sant’Ambrogio, passeggiando per il cortile della basilica, incontrò Satana che cercava di convincerlo a rinunciare alla sua carica di vescovo. Ma S. Ambrogio lo colpì con un calcio, facendolo andare a sbattere con le corna contro la colonna, formando i due buchi.
Il diavolo rimase incastrato nella colonna fino al giorno seguente, quando scomparve nella colonna passando per uno dei due fori, creando così un varco verso l’inferno.
Oggi, se ci si avvicina alla colonna, in prossimità dei due buchi, è possibile sentire un forte odore di zolfo e udire il ribollir dello Stige, il fiume infernale. Inoltre, la notte precedente alla domenica di Pasqua si dice che si possa intravedere il carro che porta le anime dannate all’inferno, guidato dal diavolo.
La leggenda del ponte di Pavia
Il Ponte coperto sul Ticino è uno dei simboli di Pavia, il quale è sorretto anche da una famosa leggenda. La notte di Natale del 999 una fitta nebbia abbracciò l’intera città di Pavia, tanto da impedire alle imbarcazioni di navigare e portare i fedeli alla messa di Natale.
All’improvviso un gentiluomo vestito di rosso disse alla folla: “Io posso costruire subito un ponte in pietra, se il primo essere che lo passerà sarà mio eternamente”. Tutti capirono che si trattava del diavolo. Ma, tra i presenti, vestito con abiti poveri, c’era anche l’arcangelo Michele che, dalla vicina chiesa aveva visto cosa stava succedendo ed era accorso.
Disse: “Abbiamo bisogno di riflettere”. Tu comincia a fare il ponte e poi ti terrai il primo che passerà.”
Il diavolo accettò e, fatto il ponte, si pose sul pilone centrale ad attendere il primo passante.
L’arcangelo Michele afferrò un caprone e con una sferzata l’obbligò ad attraversare il ponte. Preso dall’ira per essere stato preso in giro, il diavolo scatenò un violento nubifragio.
Affinché il diavolo se ne stesse lontano, i pavesi costruirono una chiesetta dedicata al santo dei fiumi, Giovanni Nepomuceno, proprio sul grande pilone di mezzo, quello dove si era seduto il diavolo ad attendere la sua preda.
Mantova e il Santo Graal
Il Santo Graal è stato mai trovato?
Nel corso della storia tantissime persone sono partite per viaggi avventurosi intorno al mondo alla ricerca del Santo Graal, ma tutti sembrano aver avuto esito negativo. Almeno, così è stato fatto credere fino ad oggi.
Ma, secondo una leggenda, per trovarlo bisogna recarsi a Mantova nella parrocchia di Sant’Andrea Apostolo. Si narra che il soldato romano Longino, che trafisse il costato di Gesù, raccolse il sangue di Cristo e lo portò a Mantova nel 36 d.C., nascondendo l’ampolla che lo conteneva in luogo segreto, prima di essere ucciso.
Nell’804 Sant’Andrea apparve in sogno a un fedele e gli indicò dove si trovava la reliquia miracolosa. Saputo della scoperta il Papa Leone III si recò a Mantova con l’Imperatore Carlo Magno per accertare la veridicità del ritrovamento. Si, il Santo Graal era proprio lì, perfettamente conservato. Il pontefice ne diede qualche goccia al re, che le portò a Parigi e fece costruire una chiesa, intitolata proprio a Sant’Andrea, per proteggere e conservare la reliquia.
Ancora oggi è possibile ammirare il sangue di Gesù nella cripta della basilica.